L'episodio più recente del podcast 'In Bocca al Lupo', una collaborazione tra Buytron e GreenMe, si immerge coraggiosamente nel dibattito sulla sessualità, un argomento spesso avvolto nel silenzio e nel disagio. Questa puntata, curata da Margherita Filosa e Iris Gaeta, smonta le convenzioni e apre un dialogo essenziale sull'educazione sessuale, l'impatto della pornografia e la necessità di ridefinire la mascolinità. Attraverso le voci della ginecologa Antonella Bonaccorsi e dell'attore Andrea Maestrelli, l'analisi si concentra sulla lacuna formativa che spinge molti giovani verso fonti inappropriate come la pornografia, proponendo invece un approccio critico e consapevole. Viene evidenziata l'importanza di affrontare queste tematiche per combattere la violenza di genere e promuovere relazioni più sane e rispettose. Il corpo, con il suo linguaggio non verbale, emerge come uno strumento fondamentale per riconoscere segnali di disagio e richiedere aiuto, mentre la discussione sulla mascolinità tossica invita a una riflessione profonda sui ruoli e le aspettative sociali, incoraggiando gli uomini a esplorare una sensibilità più autentica e coraggiosa.
Nell'ultima e rivelatrice puntata del podcast 'In Bocca al Lupo', co-prodotto con Buytron e GreenMe, le autrici Margherita Filosa e Iris Gaeta hanno orchestrato un'esplorazione audace e necessaria della sessualità, un tema che, nonostante la sua ubiquità nella società contemporanea, rimane stranamente confinato nell'ombra del tabù. Il 26 agosto 2025, questa conversazione ha visto protagonisti la rinomata ginecologa Antonella Bonaccorsi e il perspicace attore Andrea Maestrelli, che hanno offerto prospettive divergenti ma convergenti su un argomento di vitale importanza.
La discussione ha preso il via dalla constatazione che, pur essendo la sessualità un elemento intrinseco dell'esistenza umana e onnipresente nelle allusioni mediatiche, la società fatica ancora a parlarne in modo aperto e costruttivo. La dottoressa Bonaccorsi ha sottolineato come la persistenza di questo tabù sia particolarmente grave nell'era attuale, evidenziando le radici storiche e culturali di tale ritrosia. Un punto focale dell'episodio è stato l'allarmante influenza della pornografia sui giovani, che spesso la considerano la loro principale fonte di 'educazione sessuale'. Bonaccorsi ha criticato l'approccio semplicistico e spesso fuorviante offerto da tali contenuti, che riducono la sessualità a un atto meramente penetrativo e spesso privo di precauzioni, oltre a perpetuare dinamiche di dominazione e sottomissione. Questa realtà, come evidenziato anche da Maestrelli, crea una disconnessione tra la percezione della sessualità e la sua complessa realtà, sottolineando la necessità impellente di una formazione sessuale autentica e completa.
Il dialogo si è poi esteso alla lotta contro la violenza di genere, un ambito in cui ognuno è chiamato a contribuire. È emersa l'importanza cruciale di professionisti e strutture come i consultori, servizi pubblici e gratuiti che offrono sostegno e informazione, spesso sconosciuti al grande pubblico. Si è parlato anche del 'Codice Rosa', un percorso sanitario prioritario per le vittime di violenza, che evidenzia la necessità di un approccio multidisciplinare al problema. La ginecologa Bonaccorsi ha poi enfatizzato il 'linguaggio del corpo' come indicatore di disagio o violenza subita, un segnale che i professionisti devono imparare a leggere e interpretare con sensibilità e attenzione.
Infine, un'ampia sezione è stata dedicata alla 'mascolinità tossica', un modello comportamentale che ancora oggi impregna molti contesti sociali. Iris Gaeta ha evidenziato come questa cultura disfunzionale imponga agli uomini ruoli rigidi e spesso dannosi. Andrea Maestrelli ha condiviso la sua personale evoluzione, riconoscendo la crescita che deriva dal mettere in discussione luoghi comuni e stereotipi. Il messaggio conclusivo è un invito a coltivare il coraggio di accogliere la libertà e la consapevolezza, rompendo con i vecchi schemi e aprendosi a una mascolinità più autentica e sensibile. Questo percorso, sebbene non privo di sfide, promette un futuro dove gli individui possano esprimersi liberamente, al di là di ruoli imposti, in una società più equa e rispettosa.
L'episodio si è concluso con la tradizionale domanda 'In bocca al lupo a chi?'. Andrea Maestrelli ha augurato 'in bocca al lupo' a sé stesso, per il coraggio di non accontentarsi della conoscenza acquisita e di perseguire sempre la curiosità. La dottoressa Bonaccorsi, invece, ha rivolto il suo augurio a tutti i giovani, esortandoli a essere protagonisti della propria vita e a mostrare sensibilità e attenzione verso gli altri, specialmente i più vulnerabili. Le puntate del podcast 'In Bocca al Lupo' sono disponibili ogni martedì sulle principali piattaforme di streaming e sui canali social di GreenMe e Bytron Agency.
La vicenda di Mariam Abu Dagga, una giornalista indipendente di trentatré anni, il cui percorso è stato interrotto da un raid aereo a Gaza, si manifesta attraverso due potenti simboli: una macchina fotografica, strumento della sua passione e professione fino all'ultimo respiro, macchiata dal suo sangue, e una lettera, un messaggio commovente rivolto al figlio tredicenne Ghaith. Questa missiva, un inno alla vita e un testamento spirituale, ha superato i confini della Striscia, suscitando profonda emozione in tutto il mondo.
Mariam è una delle cinque vittime tra gli operatori dell'informazione colpite dall'attacco all'ospedale Nasser di Khan Younis, avvenuto il 25 agosto. Poco prima di morire, ha lasciato al figlio, che da quasi due anni era lontano da lei per ragioni di sicurezza, parole intrise di un amore incondizionato e di una forza straordinaria. «Ghaith, cuore e anima di tua madre, sei tu. Ti chiedo di non piangere per me, ma di pregare», recita la lettera. E prosegue: «Voglio che tu tenga la testa alta, che tu studi, che tu sia brillante e distinto... Quando crescerai, ti sposerai e avrai una figlia, chiamala Mariam come me.»
Il messaggio di Mariam ha risuonato ampiamente sui social network, amplificato da figure come l'attivista Patrick Zaki, che ha definito le sue parole «strazianti». Zaki ha sottolineato come la giornalista, «sotto le bombe, pensi solo alla dignità, alla felicità e al futuro di suo figlio». Ha inoltre evidenziato la prospettiva di genere del sacrificio di Mariam, affermando che i rischi affrontati dalle giornaliste sono spesso maggiori, rendendola un «simbolo di coraggio e di voce femminile libera, che oggi vola nei cieli insieme a Shireen Abu Akleh».
Professionista apprezzata, Mariam Abu Dagga ha collaborato con importanti testate internazionali, che l'hanno elogiata per la sua «rara onestà e coraggio». La sua carriera, iniziata nel 2018, era stata profondamente segnata da una tragedia personale: durante la documentazione della Grande Marcia del Ritorno, aveva filmato la morte di un manifestante, scoprendo solo in seguito che si trattava di suo fratello. Nonostante questa perdita, e nonostante la successiva scomparsa della madre e di un caro collega nell'attuale conflitto, Mariam non ha mai smesso di narrare la realtà.
La narrazione dell'attacco è brutalmente dettagliata: due esplosioni ravvicinate hanno colpito l'ospedale Nasser. Mariam, insieme ad altri colleghi, stava giungendo sul luogo della prima detonazione quando è stata colpita dalla seconda. Con lei hanno perso la vita Mohammed Salama, Hussam al-Masri, Moaz Abu Taha e Ahmad Abu Aziz. La loro morte ha aggravato il tragico conteggio delle vittime: secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ), ben 197 operatori dei media, di cui 189 palestinesi, sono stati uccisi dall'inizio della guerra, un numero senza precedenti nei conflitti recenti.
Organizzazioni internazionali, tra cui Reporter Senza Frontiere, hanno sollecitato una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere la protezione dei giornalisti. La loro presenza a Gaza è ritenuta cruciale, soprattutto in un contesto dove l'accesso alla stampa internazionale è gravemente limitato. La storia di Mariam Abu Dagga incarna così una duplice tragedia: quella di un conflitto che non risparmia i civili e quella di una stampa libera, incessantemente sotto attacco. Il suo ultimo desiderio, espresso in quella lettera, rimane l'atto conclusivo di una madre che ha trasformato il proprio dolore in un'eredità di speranza per il futuro del figlio.
Il gigante dell'abbigliamento sportivo, Adidas, si è trovato al centro di un acceso dibattito globale. La contesa è nata attorno al modello di calzature \"Oaxaca Slip-On\", oggetto di accuse di imitazione dei sandali artigianali conosciuti come huaraches, tipici della comunità indigena di Villa Hidalgo Yalalag, situata in Messico. L'incidente ha scatenato un'ampia discussione sull'appropriazione culturale e sulla necessità di riconoscere e tutelare il patrimonio intellettuale collettivo delle popolazioni autoctone.
La vicenda ha avuto inizio con la commercializzazione dei sandali \"Oaxaca Slip-On\", la cui estetica è stata immediatamente associata ai tradizionali huaraches, manufatti di grande valore culturale e storico per la comunità di Villa Hidalgo Yalalag. Questa somiglianza ha innescato un'ondata di indignazione, portando a critiche e denunce di plagio culturale. La situazione è stata aggravata dal fatto che, inizialmente, non sembrava esserci stato alcun coinvolgimento o consultazione preventiva con i detentori originali di questo sapere artigianale.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Figure politiche e istituzionali messicane hanno prontamente espresso il loro disappunto. In particolare, il deputato Isaías Carranza Secundino, membro della Commissione cultura e arte del Congresso di Oaxaca, ha condannato fermamente l'accaduto, definendo la condotta di Adidas come una chiara violazione dei diritti collettivi delle popolazioni indigene. Il Ministero della Cultura dello Stato di Oaxaca ha rafforzato questo messaggio, sottolineando l'importanza cruciale di ottenere il consenso delle comunità locali prima di utilizzare elementi del loro patrimonio culturale per fini commerciali. Anche la presidente messicana, Claudia Sheinbaum, ha ribadito la necessità di rispettare la proprietà intellettuale collettiva e ha chiesto l'implementazione di risarcimenti per i casi di plagio culturale.
Di fronte alla crescente pressione e alle accuse, Adidas ha intrapreso un'azione decisa per affrontare la controversia. Karen González, responsabile di Adidas Messico, ha partecipato a una cerimonia tenutasi nella comunità di Villa Hidalgo Yalalag, un gesto simbolico per mostrare rispetto e volontà di dialogo. Durante l'incontro, gli artigiani locali hanno presentato i loro huaraches tradizionali, accompagnati da esibizioni di musica e danze locali, mettendo in luce la ricchezza e l'autenticità della loro cultura. La signora González ha pubblicamente ammesso l'errore commesso dall'azienda, dichiarando: \"Comprendiamo che questa situazione possa aver causato insoddisfazione e pertanto ci scusiamo pubblicamente\". Ha inoltre annunciato l'intenzione di Adidas di collaborare in futuro con la comunità, con l'obiettivo di integrare il rispetto della cultura locale e la valorizzazione dell'artigianato come fonte di sostentamento nei futuri progetti.
Oltre alle scuse formali, Adidas ha compiuto passi concreti per rimediare. Tutte le immagini promozionali dei sandali \"Oaxaca Slip-On\" sono state rimosse dai canali ufficiali dell'azienda e del designer Willy Chavarria, che aveva ideato il modello combinando elementi della cultura messicana con l'estetica urbana contemporanea. La vendita online del prodotto è stata immediatamente sospesa. L'azienda ha anche avviato discussioni con le autorità locali per concordare un possibile risarcimento finanziario agli artigiani coinvolti, riconoscendo così il valore della loro proprietà intellettuale collettiva. Questo episodio sottolinea l'importanza di un approccio più etico e sostenibile nel settore della moda e del design, incoraggiando le grandi aziende a considerare il patrimonio culturale non come una semplice fonte di ispirazione estetica, ma come un tesoro da rispettare e salvaguardare.