Ambiente
Zone Urbane Ardenti: La Mappatura dei Quartieri più Caldi Rivela Disuguaglianze Sociali
2025-08-06

Le città italiane stanno affrontando un aumento preoccupante delle temperature, che non colpisce tutti in egual misura. Una recente indagine ha portato alla luce la crescente disparità termica tra i diversi quartieri urbani, introducendo il concetto di 'povertà da raffrescamento'. Questa nuova forma di disuguaglianza sociale, dove alcune aree della città diventano insostenibilmente calde a causa della mancanza di infrastrutture verdi e materiali edilizi adeguati, sta emergendo come una sfida cruciale per la vivibilità urbana.

Dettagli dell'Indagine sulle Temperature Urbane

L'inchiesta di cittadinanza scientifica, intitolata “Che Caldo Che Fa! Contro la cooling poverty: città + fresche, città + giuste”, è stata promossa da Legambiente con il contributo di Banco dell’Energia. Tra la fine di giugno e la fine di luglio 2025, i ricercatori hanno analizzato dieci quartieri in cinque grandi città italiane: Roma, Napoli, Bologna, Milano e Palermo. Queste località, seppur diverse per caratteristiche urbanistiche e composizione sociale, condividono la problematica delle intense ondate di calore.

I volontari, equipaggiati con termocamere e termoigrometri, hanno effettuato 171 termografie e analizzato oltre 500 superfici. I risultati sono stati allarmanti: la temperatura media dell'aria registrata è stata di 35,4°C, con un picco di 43°C a Secondigliano, Napoli. Tuttavia, è la temperatura superficiale a destare maggiore preoccupazione, con una media di 45,6°C e picchi che hanno raggiunto in media i 75,5°C. Il valore più elevato è stato rilevato su un tappetino di gomma in un parco giochi nel quartiere Argonne a Milano, dove la temperatura ha toccato l'incredibile cifra di 85,4°C. Anche a Bologna, nel quartiere Barca, una pavimentazione in mattonatura ha raggiunto i 63,7°C.

Questi dati evidenziano come il calore assorbito dalle superfici influenzi direttamente la temperatura percepita e contribuisca al fenomeno delle 'notti tropicali', rendendo difficile il riposo e il recupero dallo stress termico. La ricerca ha scientificamente dimostrato l'importanza fondamentale delle aree ombreggiate: un'area giochi esposta al sole può raggiungere i 70,9°C, mentre la stessa zona ombreggiata si mantiene a circa 35°C, con una differenza di quasi 36 gradi. Similmente, l'asfalto scende da 55,2°C a 31,2°C se ombreggiato, e la carrozzeria delle auto da 68,2°C a 37,5°C. Queste differenze sono decisive per la qualità della vita negli spazi pubblici.

La 'povertà da raffrescamento' non è solo una questione ambientale, ma una profonda disparità sociale. I quartieri più vulnerabili, spesso caratterizzati da alta densità abitativa, scarsità di aree verdi e l'uso di materiali che assorbono calore, espongono maggiormente i loro residenti alle ondate di calore. La presenza di viali alberati, fontane e parchi diventa un fattore discriminante tra un quartiere che offre un rifugio e uno che si trasforma in una 'trappola di calore'.

Per affrontare questa emergenza, Legambiente ha proposto quattro soluzioni concrete: adottare piani di adattamento climatico integrati con gli strumenti urbanistici per aumentare le infrastrutture verdi e blu; aggiornare i regolamenti edilizi per promuovere materiali permeabili e riflettenti; creare 'rifugi climatici' comunitari nei quartieri, sfruttando spazi pubblici come cortili scolastici; e adottare un approccio intersezionale per identificare le aree più vulnerabili, incrociando i dati sulle isole di calore con gli indicatori socioeconomici. L'obiettivo è rigenerare le città in chiave di adattamento climatico, garantendo a tutti il diritto a un ambiente urbano più fresco e sostenibile.

Questa indagine ci spinge a riflettere sulla crescente urgenza di ripensare le nostre città. Non si tratta più solo di affrontare il cambiamento climatico a livello globale, ma di agire localmente, quartiere per quartiere. La "povertà da raffrescamento" evidenzia una profonda ingiustizia sociale, dove i più vulnerabili sono anche i più esposti agli effetti deleteri del calore estremo. È fondamentale che le amministrazioni urbane e i cittadini collaborino per creare spazi più vivibili e giusti, dove l'ombra e il verde non siano un lusso, ma un diritto accessibile a tutti. Solo così potremo costruire città resilienti e inclusive, capaci di affrontare le sfide climatiche future.

Hibakujumoku: Testimoni Silenziosi di Pace e Resilienza sbocciano in Italia
2025-08-06

Ottant'anni dopo il tragico evento che scosse il mondo il 6 agosto 1945, mentre la voce dei pochi sopravvissuti si affievolisce, un'eredità sorprendente sta portando avanti il loro messaggio. Si tratta degli Hibakujumoku, alberi che, inaspettatamente, sopravvissero all'esplosione nucleare di Hiroshima e che ora fioriscono in Italia, agendo da ambasciatori di pace. Grazie all'instancabile dedizione di PEFC Italia, un'organizzazione impegnata nella promozione della gestione forestale sostenibile, ben 51 di questi \"alberi della pace\" hanno trovato dimora in diverse regioni del nostro paese, con l'obiettivo di coltivare un futuro libero da conflitti e di mantenere viva la memoria di una ferita storica ancora profonda. Questo progetto non è solo un atto di rimboschimento, ma un ponte vivente tra il passato e le speranze future, incarnando un monito potente contro la distruzione e un inno alla rinascita.

La Rinascita degli Hibakujumoku: Un Messaggio di Pace Radicato in Italia

Il 6 agosto 2025 segnerà l'ottantesimo anniversario del lancio della bomba atomica su Hiroshima, un giorno che ha irrevocabilmente cambiato il corso della storia umana. La memoria di tale evento è stata instancabilmente custodita dagli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, la cui associazione, Nihon Hidankyo, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, la loro testimonianza diretta è destinata a svanire. A raccogliere questo significativo, seppur gravoso, testimone, oltre alle nuove generazioni, vi sono dei custodi silenziosi e incredibilmente resilienti: gli alberi.

Non parliamo di alberi qualsiasi, ma degli Hibakujumoku. Questo termine giapponese, che unisce le parole \"hibaku\" (bombardato) e \"jumoku\" (albero), identifica quelle piante che, pur trovandosi entro due chilometri dall'epicentro dell'esplosione, riuscirono a sopravvivere o a rigermogliare dalle proprie radici, in un'area dove, secondo gli scienziati dell'epoca, nulla avrebbe dovuto crescere per decenni. Oggi, se ne contano circa 160, appartenenti a oltre 30 specie diverse, e dai loro semi stanno nascendo nuove piantine, che viaggiano come messaggere di speranza in ogni angolo del globo.

Questa potente iniziativa di diplomazia naturale è promossa a livello mondiale da Green Legacy Hiroshima (GLH), un'organizzazione di volontari fondata nel 2011. In Italia, dal 2020, il progetto è curato con grande dedizione da PEFC Italia, in stretta collaborazione con l'Associazione \"Mondo senza Guerre e senza Violenza\". Insieme, gestiscono l'intero processo: dalla raccolta dei semi dalle piante madri in Giappone, alla loro germinazione e crescita presso l'Orto Botanico di Perugia, fino all'affidamento dei giovani alberi a scuole, istituzioni e associazioni che si impegnano in progetti ambientali e di inclusione sociale.

Ad oggi, 51 di questi \"alberi di pace\" hanno trovato una nuova casa lungo tutta la penisola italiana, estendendosi da Maccagno a Palermo, e da Vicenza a Reggio Calabria. Queste piante uniche sono state affidate a enti e persone che si sono distinti per il loro concreto impegno. Antonio Brunori, Segretario Generale di PEFC Italia, ha commentato: \"Questi alberi, testimoni silenziosi di una tragedia che ha segnato indelebilmente il percorso dell'umanità, portano messaggi oggi più che mai necessari, specialmente considerando i drammatici conflitti attualmente in corso nel mondo. A 80 anni dal lancio della bomba atomica, gli Hibakujumoku sono un monito vivente contro la guerra e l'uso di armi di distruzione di massa, ma anche la ferma dimostrazione della forza e della capacità di rinascita insita nella natura.\"

Questo progetto, dunque, unisce indissolubilmente la memoria storica all'impegno per un futuro più sostenibile e pacifico. Non si tratta semplicemente di piantare un albero, ma di coltivare la consapevolezza. Un gesto che, come sottolineato da Marco Bussone, Presidente di PEFC Italia, costruisce la pace \"anche con un nuovo approccio agli ecosistemi, fermando la deforestazione e lo sfruttamento illegale delle foreste, generando nuovi legami, in Italia, tra chi produce e chi consuma i beni pubblici naturali.\"

Dall'Istituto Omnicomprensivo di Pieve Santo Stefano (AR) al Comune di Bellusco (MB), che ha visto le ultime piantumazioni del 2025, passando per il Centro Nocetum di Milano, la Fondazione Cini a Venezia e l'Associazione per la Memoria del Vajont, la rete degli Hibakujumoku italiani sta tessendo una mappa vivente di resilienza. Ogni albero rappresenta un'aula a cielo aperto, una radice che lega il passato al futuro, un monito per non dimenticare l'orrore e per scegliere, ogni giorno, la vita.

La storia degli Hibakujumoku ci insegna che, anche di fronte alla devastazione più estrema, la vita trova sempre il modo di persistere e di offrire un barlume di speranza. Questi alberi non sono semplici piante; sono monumenti viventi alla pace, promemoria costanti della necessità di preservare la vita e di imparare dagli errori del passato. La loro presenza in Italia è un richiamo potente all'unità e alla collaborazione internazionale per un futuro più verde e pacifico, invitandoci a riflettere sul nostro ruolo come custodi del pianeta e della sua armonia.

Vedi di più
Ginevra: Il Futuro Senza Plastica tra Negoziati e Tensioni Globali
2025-08-06

In un momento critico per il destino ambientale del nostro pianeta, Ginevra ospita un vertice di importanza globale: dal 5 al 14 agosto, i rappresentanti di quasi 180 nazioni si sono riuniti con l'ambizioso scopo di definire un trattato internazionale giuridicamente vincolante per la gestione della plastica. Questa iniziativa mira a coprire l'intero ciclo di vita del materiale, dalla produzione allo smaltimento, cercando di porre fine all'inarrestabile inquinamento che minaccia gli ecosistemi e la salute umana. Tuttavia, il percorso verso un accordo definitivo è tutt'altro che semplice, segnato da divergenti interessi e da precedenti negoziati inconcludenti.

Dettagli Cruciali del Vertice di Ginevra sulla Plastica

La cornice diplomatica della città di Ginevra, in Svizzera, è stata scelta per questo decisivo quinto round negoziale, denominato INC-5.2. L'agenda principale verte su un documento di 22 pagine, contenente proposte per un futuro privo di inquinamento da plastica. L'urgenza di tale accordo è amplificata dal \"Global Risk Report 2025\", che posiziona la crisi della plastica tra le dieci maggiori minacce globali per il prossimo decennio. I dati recenti sono allarmanti: nel solo 2024, la produzione globale di plastica ha superato i 500 milioni di tonnellate, con circa 400 milioni destinate a diventare rifiuti. Un aspetto cruciale del dibattito è il legame inequivocabile tra plastica e salute umana. La rivista scientifica \"The Lancet\" ha recentemente evidenziato come i composti plastici causino patologie in ogni fase della vita umana, con un impatto particolarmente devastante su bambini e neonati. Le stime attuali indicano perdite economiche superiori a 1,5 trilioni di dollari annuali dovute ai danni sanitari. Nonostante l'evidenza di problemi come aborti spontanei, malformazioni, malattie cardiache e cancro, il tema della salute è diventato un punto di forte disaccordo nel tavolo negoziale. Le posizioni sono diametralmente opposte: da un lato, una coalizione di oltre cento paesi promuove un trattato ambizioso, che preveda riduzioni vincolanti nella produzione di plastica vergine e il bando di sostanze chimiche pericolose, oltre che di prodotti monouso superflui. Dall'altro, un raggruppamento di nazioni, tra cui potenze petrolifere come Arabia Saudita, Cina, Russia e Iran, si oppone a qualsiasi limite sulla produzione, sostenendo che l'accordo dovrebbe concentrarsi unicamente sulla gestione e il riciclo dei rifiuti. Quest'ultima posizione, secondo gli esperti, è insufficiente, dato che attualmente solo il 9% della plastica prodotta a livello globale viene riciclato. Anche gli Stati Uniti si collocano in una posizione più cauta, favorendo un trattato meno stringente. L'autorevole voce di Richard Thompson, lo scienziato che per primo ha coniato il termine \"microplastiche\", ha risuonato a Ginevra, richiamando i delegati alla responsabilità nei confronti delle future generazioni. Un ulteriore elemento di attrito è rappresentato dalla strategia di alcuni produttori e lobby industriali, che tentano di presentare la plastica come indispensabile, soprattutto in ambito medico, per ottenere esenzioni. Tuttavia, organizzazioni come \"Health Care Without Harm\", che rappresentano milioni di professionisti sanitari, hanno respinto questa narrazione, sottolineando la necessità di ridurre la plastica superflua anche nel settore sanitario. Con il tempo che stringe, fino al 14 agosto, resta da vedere se prevarrà l'interesse economico o la salvaguardia del nostro Pianeta.

Questo vertice ginevrino ci porta a una riflessione profonda sul rapporto dell'umanità con le proprie creazioni e sul significato della responsabilità collettiva. Non si tratta solamente di siglare un accordo tecnico, ma di un vero e proprio bivio morale. Siamo di fronte a una scelta chiara: continuare a perpetuare un modello di consumo insostenibile, con le sue inevitabili conseguenze devastanti per l'ambiente e la salute, o abbracciare un futuro più consapevole e sostenibile. La posta in gioco è il nostro domani, un futuro che rischia di essere letteralmente soffocato dalla plastica se non agiamo con risolutezza e lungimiranza. È essenziale che la scienza guidi le decisioni e che la pressione della società civile superi gli interessi economici miopi, affinché i negoziatori possano, in coscienza, affermare di aver fatto tutto il possibile per proteggere il benessere delle generazioni future e la salute del nostro prezioso ecosistema.

Vedi di più