Ambiente
Il Ponte sullo Stretto di Messina: Un Progetto Ambizioso tra Speranze e Controversie
2025-08-07

Il progetto per la costruzione di un collegamento stabile sullo Stretto di Messina, dopo anni di discussioni e rinvii, ha ricevuto l'approvazione finale. Questa iniziativa, che mira a realizzare una delle più grandi opere infrastrutturali a campata unica a livello globale, solleva tuttavia numerose preoccupazioni. Le criticità spaziano dalla complessità geologica e sismica dell'area, ai potenziali impatti ecologici, fino alle implicazioni finanziarie e logistiche che potrebbero influire sul futuro delle regioni meridionali d'Italia. Mentre il governo ne esalta la valenza strategica, molte associazioni ambientaliste e comitati locali evidenziano i rischi e l'elevato costo, mettendo in discussione la sua reale efficacia e sostenibilità.

Il 6 agosto 2025, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile ha dato il via libera definitivo al Ponte sullo Stretto di Messina. L'avvio dei lavori è fissato tra settembre e ottobre, con l'obiettivo di completare l'infrastruttura entro il 2033. Questa struttura, caratterizzata da una campata unica di 3.300 metri, torri alte 399 metri, sei corsie stradali e due binari ferroviari, rappresenterebbe un primato mondiale. Il costo previsto si aggira intorno ai 13,5 miliardi di euro, finanziati in gran parte con fondi pubblici. Nonostante le promesse di un collegamento rapido tra le due sponde, stimato in 10 minuti per le auto e 15 per i treni, e un impatto positivo sul PIL, le sfide tecniche e ambientali sono considerevoli.

Il comitato scientifico ministeriale ha evidenziato diverse problematiche critiche, tra cui la resistenza al vento in un'area notoriamente soggetta a correnti intense, la complessa sismicità della zona con faglie attive e la vicinanza al vulcano sottomarino Marsili, e la necessità di aggiornare le analisi microsismiche. Sono state sollevate anche perplessità sulla combinazione dei carichi dinamici di traffico e vento, e sulla qualità dei materiali, in particolare l'uso di acciai innovativi. Solo una volta affrontati questi aspetti, si potrà parlare di un'opera realmente sicura e pronta ad operare in un contesto così impegnativo.

Le organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, WWF, Legambiente e Lipu hanno espresso profonde riserve, sottolineando i potenziali danni irreversibili agli ecosistemi locali. Si teme la perdita di biodiversità, la frammentazione degli habitat costieri e marini e la compromissione degli ambienti naturali. La Valutazione di Incidenza Ambientale, approvata con deroghe basate su presunti motivi di interesse pubblico, ha generato numerosi ricorsi, evidenziando la gravità delle preoccupazioni. Inoltre, l'utilizzo di fondi di Coesione e Sviluppo, originariamente destinati a ridurre le disparità nel Sud Italia, per finanziare l'opera, è stato oggetto di forti critiche, sollevando interrogativi sulla priorità degli investimenti e sulla trasparenza delle decisioni.

Dal punto di vista economico, la stima di 13,5 miliardi di euro potrebbe essere sottostimata, con previsioni che indicano un potenziale aumento dei costi. È stato anche notato che l'affidamento del progetto al consorzio Eurolink è avvenuto senza una nuova gara d'appalto, riattivando un contratto risalente al 2005, e che in caso di interruzione del progetto, è prevista una penale significativa di 1,5 miliardi di euro. Esperti e comitati civici hanno proposto soluzioni alternative, come l'ammodernamento delle flotte di traghetti ecologici e delle infrastrutture portuali esistenti. Queste opzioni, molto meno costose e potenzialmente più adatte alle esigenze di mobilità locale, non hanno finora ricevuto l'attenzione che meritano nel dibattito pubblico.

Un ulteriore punto di disaccordo riguarda l'altezza del ponte (70-72 metri). Alcuni specialisti del settore logistico e marittimo, come Luigi Merlo di Federlogistica, hanno espresso il timore che questa altezza sia insufficiente per consentire il passaggio di una percentuale significativa delle moderne navi portacontainer e da crociera. Ciò potrebbe compromettere la competitività del porto di Gioia Tauro, un'infrastruttura cruciale per il commercio marittimo, rendendo il ponte un ostacolo anziché un facilitatore per il traffico navale.

Nonostante le dichiarazioni governative che lo definiscono un'opera strategica per l'intera nazione, il Ponte sullo Stretto continua a essere un simbolo di divisione. Molti comitati civici, ricercatori e associazioni lo considerano un'impresa ad alto rischio, dai costi esorbitanti e con benefici ancora da dimostrare. La discussione, che coinvolge la Sicilia e la Calabria, è tutt'altro che conclusa, e la vera prova del progetto arriverà solo con l'inizio dei lavori, quando dovrà affrontare le sfide della costruzione e dimostrare la sua resilienza di fronte alle forze naturali e alle perplessità che ancora lo circondano.

Zone Urbane Ardenti: La Mappatura dei Quartieri più Caldi Rivela Disuguaglianze Sociali
2025-08-06

Le città italiane stanno affrontando un aumento preoccupante delle temperature, che non colpisce tutti in egual misura. Una recente indagine ha portato alla luce la crescente disparità termica tra i diversi quartieri urbani, introducendo il concetto di 'povertà da raffrescamento'. Questa nuova forma di disuguaglianza sociale, dove alcune aree della città diventano insostenibilmente calde a causa della mancanza di infrastrutture verdi e materiali edilizi adeguati, sta emergendo come una sfida cruciale per la vivibilità urbana.

Dettagli dell'Indagine sulle Temperature Urbane

L'inchiesta di cittadinanza scientifica, intitolata “Che Caldo Che Fa! Contro la cooling poverty: città + fresche, città + giuste”, è stata promossa da Legambiente con il contributo di Banco dell’Energia. Tra la fine di giugno e la fine di luglio 2025, i ricercatori hanno analizzato dieci quartieri in cinque grandi città italiane: Roma, Napoli, Bologna, Milano e Palermo. Queste località, seppur diverse per caratteristiche urbanistiche e composizione sociale, condividono la problematica delle intense ondate di calore.

I volontari, equipaggiati con termocamere e termoigrometri, hanno effettuato 171 termografie e analizzato oltre 500 superfici. I risultati sono stati allarmanti: la temperatura media dell'aria registrata è stata di 35,4°C, con un picco di 43°C a Secondigliano, Napoli. Tuttavia, è la temperatura superficiale a destare maggiore preoccupazione, con una media di 45,6°C e picchi che hanno raggiunto in media i 75,5°C. Il valore più elevato è stato rilevato su un tappetino di gomma in un parco giochi nel quartiere Argonne a Milano, dove la temperatura ha toccato l'incredibile cifra di 85,4°C. Anche a Bologna, nel quartiere Barca, una pavimentazione in mattonatura ha raggiunto i 63,7°C.

Questi dati evidenziano come il calore assorbito dalle superfici influenzi direttamente la temperatura percepita e contribuisca al fenomeno delle 'notti tropicali', rendendo difficile il riposo e il recupero dallo stress termico. La ricerca ha scientificamente dimostrato l'importanza fondamentale delle aree ombreggiate: un'area giochi esposta al sole può raggiungere i 70,9°C, mentre la stessa zona ombreggiata si mantiene a circa 35°C, con una differenza di quasi 36 gradi. Similmente, l'asfalto scende da 55,2°C a 31,2°C se ombreggiato, e la carrozzeria delle auto da 68,2°C a 37,5°C. Queste differenze sono decisive per la qualità della vita negli spazi pubblici.

La 'povertà da raffrescamento' non è solo una questione ambientale, ma una profonda disparità sociale. I quartieri più vulnerabili, spesso caratterizzati da alta densità abitativa, scarsità di aree verdi e l'uso di materiali che assorbono calore, espongono maggiormente i loro residenti alle ondate di calore. La presenza di viali alberati, fontane e parchi diventa un fattore discriminante tra un quartiere che offre un rifugio e uno che si trasforma in una 'trappola di calore'.

Per affrontare questa emergenza, Legambiente ha proposto quattro soluzioni concrete: adottare piani di adattamento climatico integrati con gli strumenti urbanistici per aumentare le infrastrutture verdi e blu; aggiornare i regolamenti edilizi per promuovere materiali permeabili e riflettenti; creare 'rifugi climatici' comunitari nei quartieri, sfruttando spazi pubblici come cortili scolastici; e adottare un approccio intersezionale per identificare le aree più vulnerabili, incrociando i dati sulle isole di calore con gli indicatori socioeconomici. L'obiettivo è rigenerare le città in chiave di adattamento climatico, garantendo a tutti il diritto a un ambiente urbano più fresco e sostenibile.

Questa indagine ci spinge a riflettere sulla crescente urgenza di ripensare le nostre città. Non si tratta più solo di affrontare il cambiamento climatico a livello globale, ma di agire localmente, quartiere per quartiere. La "povertà da raffrescamento" evidenzia una profonda ingiustizia sociale, dove i più vulnerabili sono anche i più esposti agli effetti deleteri del calore estremo. È fondamentale che le amministrazioni urbane e i cittadini collaborino per creare spazi più vivibili e giusti, dove l'ombra e il verde non siano un lusso, ma un diritto accessibile a tutti. Solo così potremo costruire città resilienti e inclusive, capaci di affrontare le sfide climatiche future.

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Hibakujumoku: Testimoni Silenziosi di Pace e Resilienza sbocciano in Italia
2025-08-06

Ottant'anni dopo il tragico evento che scosse il mondo il 6 agosto 1945, mentre la voce dei pochi sopravvissuti si affievolisce, un'eredità sorprendente sta portando avanti il loro messaggio. Si tratta degli Hibakujumoku, alberi che, inaspettatamente, sopravvissero all'esplosione nucleare di Hiroshima e che ora fioriscono in Italia, agendo da ambasciatori di pace. Grazie all'instancabile dedizione di PEFC Italia, un'organizzazione impegnata nella promozione della gestione forestale sostenibile, ben 51 di questi \"alberi della pace\" hanno trovato dimora in diverse regioni del nostro paese, con l'obiettivo di coltivare un futuro libero da conflitti e di mantenere viva la memoria di una ferita storica ancora profonda. Questo progetto non è solo un atto di rimboschimento, ma un ponte vivente tra il passato e le speranze future, incarnando un monito potente contro la distruzione e un inno alla rinascita.

La Rinascita degli Hibakujumoku: Un Messaggio di Pace Radicato in Italia

Il 6 agosto 2025 segnerà l'ottantesimo anniversario del lancio della bomba atomica su Hiroshima, un giorno che ha irrevocabilmente cambiato il corso della storia umana. La memoria di tale evento è stata instancabilmente custodita dagli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, la cui associazione, Nihon Hidankyo, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, la loro testimonianza diretta è destinata a svanire. A raccogliere questo significativo, seppur gravoso, testimone, oltre alle nuove generazioni, vi sono dei custodi silenziosi e incredibilmente resilienti: gli alberi.

Non parliamo di alberi qualsiasi, ma degli Hibakujumoku. Questo termine giapponese, che unisce le parole \"hibaku\" (bombardato) e \"jumoku\" (albero), identifica quelle piante che, pur trovandosi entro due chilometri dall'epicentro dell'esplosione, riuscirono a sopravvivere o a rigermogliare dalle proprie radici, in un'area dove, secondo gli scienziati dell'epoca, nulla avrebbe dovuto crescere per decenni. Oggi, se ne contano circa 160, appartenenti a oltre 30 specie diverse, e dai loro semi stanno nascendo nuove piantine, che viaggiano come messaggere di speranza in ogni angolo del globo.

Questa potente iniziativa di diplomazia naturale è promossa a livello mondiale da Green Legacy Hiroshima (GLH), un'organizzazione di volontari fondata nel 2011. In Italia, dal 2020, il progetto è curato con grande dedizione da PEFC Italia, in stretta collaborazione con l'Associazione \"Mondo senza Guerre e senza Violenza\". Insieme, gestiscono l'intero processo: dalla raccolta dei semi dalle piante madri in Giappone, alla loro germinazione e crescita presso l'Orto Botanico di Perugia, fino all'affidamento dei giovani alberi a scuole, istituzioni e associazioni che si impegnano in progetti ambientali e di inclusione sociale.

Ad oggi, 51 di questi \"alberi di pace\" hanno trovato una nuova casa lungo tutta la penisola italiana, estendendosi da Maccagno a Palermo, e da Vicenza a Reggio Calabria. Queste piante uniche sono state affidate a enti e persone che si sono distinti per il loro concreto impegno. Antonio Brunori, Segretario Generale di PEFC Italia, ha commentato: \"Questi alberi, testimoni silenziosi di una tragedia che ha segnato indelebilmente il percorso dell'umanità, portano messaggi oggi più che mai necessari, specialmente considerando i drammatici conflitti attualmente in corso nel mondo. A 80 anni dal lancio della bomba atomica, gli Hibakujumoku sono un monito vivente contro la guerra e l'uso di armi di distruzione di massa, ma anche la ferma dimostrazione della forza e della capacità di rinascita insita nella natura.\"

Questo progetto, dunque, unisce indissolubilmente la memoria storica all'impegno per un futuro più sostenibile e pacifico. Non si tratta semplicemente di piantare un albero, ma di coltivare la consapevolezza. Un gesto che, come sottolineato da Marco Bussone, Presidente di PEFC Italia, costruisce la pace \"anche con un nuovo approccio agli ecosistemi, fermando la deforestazione e lo sfruttamento illegale delle foreste, generando nuovi legami, in Italia, tra chi produce e chi consuma i beni pubblici naturali.\"

Dall'Istituto Omnicomprensivo di Pieve Santo Stefano (AR) al Comune di Bellusco (MB), che ha visto le ultime piantumazioni del 2025, passando per il Centro Nocetum di Milano, la Fondazione Cini a Venezia e l'Associazione per la Memoria del Vajont, la rete degli Hibakujumoku italiani sta tessendo una mappa vivente di resilienza. Ogni albero rappresenta un'aula a cielo aperto, una radice che lega il passato al futuro, un monito per non dimenticare l'orrore e per scegliere, ogni giorno, la vita.

La storia degli Hibakujumoku ci insegna che, anche di fronte alla devastazione più estrema, la vita trova sempre il modo di persistere e di offrire un barlume di speranza. Questi alberi non sono semplici piante; sono monumenti viventi alla pace, promemoria costanti della necessità di preservare la vita e di imparare dagli errori del passato. La loro presenza in Italia è un richiamo potente all'unità e alla collaborazione internazionale per un futuro più verde e pacifico, invitandoci a riflettere sul nostro ruolo come custodi del pianeta e della sua armonia.

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