In un momento critico per il destino ambientale del nostro pianeta, Ginevra ospita un vertice di importanza globale: dal 5 al 14 agosto, i rappresentanti di quasi 180 nazioni si sono riuniti con l'ambizioso scopo di definire un trattato internazionale giuridicamente vincolante per la gestione della plastica. Questa iniziativa mira a coprire l'intero ciclo di vita del materiale, dalla produzione allo smaltimento, cercando di porre fine all'inarrestabile inquinamento che minaccia gli ecosistemi e la salute umana. Tuttavia, il percorso verso un accordo definitivo è tutt'altro che semplice, segnato da divergenti interessi e da precedenti negoziati inconcludenti.
La cornice diplomatica della città di Ginevra, in Svizzera, è stata scelta per questo decisivo quinto round negoziale, denominato INC-5.2. L'agenda principale verte su un documento di 22 pagine, contenente proposte per un futuro privo di inquinamento da plastica. L'urgenza di tale accordo è amplificata dal \"Global Risk Report 2025\", che posiziona la crisi della plastica tra le dieci maggiori minacce globali per il prossimo decennio. I dati recenti sono allarmanti: nel solo 2024, la produzione globale di plastica ha superato i 500 milioni di tonnellate, con circa 400 milioni destinate a diventare rifiuti. Un aspetto cruciale del dibattito è il legame inequivocabile tra plastica e salute umana. La rivista scientifica \"The Lancet\" ha recentemente evidenziato come i composti plastici causino patologie in ogni fase della vita umana, con un impatto particolarmente devastante su bambini e neonati. Le stime attuali indicano perdite economiche superiori a 1,5 trilioni di dollari annuali dovute ai danni sanitari. Nonostante l'evidenza di problemi come aborti spontanei, malformazioni, malattie cardiache e cancro, il tema della salute è diventato un punto di forte disaccordo nel tavolo negoziale. Le posizioni sono diametralmente opposte: da un lato, una coalizione di oltre cento paesi promuove un trattato ambizioso, che preveda riduzioni vincolanti nella produzione di plastica vergine e il bando di sostanze chimiche pericolose, oltre che di prodotti monouso superflui. Dall'altro, un raggruppamento di nazioni, tra cui potenze petrolifere come Arabia Saudita, Cina, Russia e Iran, si oppone a qualsiasi limite sulla produzione, sostenendo che l'accordo dovrebbe concentrarsi unicamente sulla gestione e il riciclo dei rifiuti. Quest'ultima posizione, secondo gli esperti, è insufficiente, dato che attualmente solo il 9% della plastica prodotta a livello globale viene riciclato. Anche gli Stati Uniti si collocano in una posizione più cauta, favorendo un trattato meno stringente. L'autorevole voce di Richard Thompson, lo scienziato che per primo ha coniato il termine \"microplastiche\", ha risuonato a Ginevra, richiamando i delegati alla responsabilità nei confronti delle future generazioni. Un ulteriore elemento di attrito è rappresentato dalla strategia di alcuni produttori e lobby industriali, che tentano di presentare la plastica come indispensabile, soprattutto in ambito medico, per ottenere esenzioni. Tuttavia, organizzazioni come \"Health Care Without Harm\", che rappresentano milioni di professionisti sanitari, hanno respinto questa narrazione, sottolineando la necessità di ridurre la plastica superflua anche nel settore sanitario. Con il tempo che stringe, fino al 14 agosto, resta da vedere se prevarrà l'interesse economico o la salvaguardia del nostro Pianeta.
Questo vertice ginevrino ci porta a una riflessione profonda sul rapporto dell'umanità con le proprie creazioni e sul significato della responsabilità collettiva. Non si tratta solamente di siglare un accordo tecnico, ma di un vero e proprio bivio morale. Siamo di fronte a una scelta chiara: continuare a perpetuare un modello di consumo insostenibile, con le sue inevitabili conseguenze devastanti per l'ambiente e la salute, o abbracciare un futuro più consapevole e sostenibile. La posta in gioco è il nostro domani, un futuro che rischia di essere letteralmente soffocato dalla plastica se non agiamo con risolutezza e lungimiranza. È essenziale che la scienza guidi le decisioni e che la pressione della società civile superi gli interessi economici miopi, affinché i negoziatori possano, in coscienza, affermare di aver fatto tutto il possibile per proteggere il benessere delle generazioni future e la salute del nostro prezioso ecosistema.
Un fenomeno atmosferico senza precedenti ha recentemente stabilito un nuovo primato mondiale: un fulmine che si è esteso per ben 829 chilometri, ufficialmente riconosciuto dal Comitato per gli Estremi Meteorologici e Climatici dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO). Questo straordinario evento, pur essendosi verificato nell'ottobre del 2017, è stato classificato come il più esteso solo dopo un'approfondita analisi dei dati satellitari, dimostrando i progressi nelle capacità di osservazione meteorologica.
Questo gigantesco lampo ha attraversato i cieli tra l'area orientale del Texas e Kansas City, coprendo una distanza che, per dare un'idea della sua immensità, è paragonabile a quella che separa Parigi da Venezia. Per percorrere una tale distanza, un'automobile impiegherebbe circa 8-9 ore, mentre un aereo di linea necessiterebbe di almeno 90 minuti. Il precedente record, registrato nell'aprile 2020, era di 768 km, rendendo questo nuovo fulmine superiore di 61 km. La precisione di questa misurazione è stata possibile grazie ai satelliti GOES-16 e GOES-17, sviluppati dall'agenzia meteorologica statunitense NOAA, con un margine di errore minimo di soli 8 km. Secondo gli esperti del WMO, è plausibile che esistano fulmini ancora più lunghi, la cui scoperta è solo questione di tempo e di continuo affinamento delle tecnologie.
Al di là dello spettacolare aspetto, il WMO ha evidenziato come eventi di questa portata costituiscano una minaccia significativa per la sicurezza pubblica. Fulmini di tali dimensioni possono seriamente influenzare il traffico aereo, innescare incendi boschivi devastanti e colpire persone a notevole distanza dalla tempesta principale. Di conseguenza, l'implementazione e il potenziamento dei sistemi di allerta precoce diventano sempre più vitali per la protezione delle comunità e delle infrastrutture. Per tutelarsi durante questi fenomeni, il WMO consiglia di cercare rifugio in strutture solide dotate di impianti elettrici e idraulici funzionanti, o all'interno di veicoli chiusi con tetto metallico. La potenza della natura, sebbene affascinante, ci ricorda costantemente l'importanza della prudenza e della preparazione di fronte ai suoi fenomeni più estremi.
La disputa legale riguardante il contestato Ponte sullo Stretto di Messina si arricchisce di un nuovo capitolo significativo, che sposta il confronto sul piano europeo. Il 4 agosto, associazioni di spicco come Greenpeace, Legambiente, Lipu e WWF hanno inoltrato un reclamo integrativo alla Commissione Europea. Al centro della loro denuncia vi è la ferma convinzione che l'iter autorizzativo del progetto violi in maniera evidente le direttive comunitarie volte alla salvaguardia dell'ambiente. Questa iniziativa segue un primo esposto già presentato il 27 marzo.
La questione centrale di questa controversia risiede nella procedura stessa impiegata per l'approvazione del progetto. L'impatto ambientale del Ponte, inizialmente sottovalutato, è ora universalmente riconosciuto, persino dai promotori stessi dell'opera. Data la rilevanza di tale impatto, è stata attivata una procedura speciale, nota come \"livello III della VINCA\" (Valutazione d'Incidenza). Questa è prevista quando un progetto minaccia aree sensibili incluse nella Rete Natura 2000, come lo sono le coste e lo specchio d'acqua dello Stretto. Sebbene questa deroga consenta la realizzazione dell'opera nonostante gli effetti negativi, essa è subordinata a tre condizioni rigorose e non negoziabili, come stabilito dalle direttive \"Habitat\" e \"Uccelli\": la dimostrazione dell'assenza di alternative valide, la prova di \"motivi imperativi di rilevante interesse pubblico\" (IROP) e l'adozione di misure compensative efficaci. Le associazioni ambientaliste affermano che nessuna di queste condizioni sia stata rispettata.
Il reclamo delle associazioni si concentra in particolare sulle \"motivazioni imperative\" addotte dal Governo, considerate un pretesto per eludere il vaglio della Commissione Europea. Tra queste, si citano ragioni di sicurezza militare, sanitaria e di protezione civile, definite \"paradossali\" dalle organizzazioni. Viene argomentato che un ponte costituirebbe un obiettivo primario in caso di conflitto e che lo spostamento di truppe via terra sia ormai obsoleto. Le motivazioni sanitarie, che ipotizzerebbero un miglioramento dei servizi, sono ritenute \"inverosimili\", poiché le problematiche sanitarie locali derivano da carenze strutturali e non dalla difficoltà di attraversamento. Analogamente, le ragioni di protezione civile ignorerebbero le dinamiche di gestione delle emergenze. La Commissione VIA-VAS ha accettato tali motivazioni senza una valutazione approfondita, delegando la competenza al governo.
Un altro aspetto cruciale evidenziato nel ricorso è la mancanza di un'analisi adeguata delle alternative progettuali. Secondo gli ambientalisti, la Commissione VIA-VAS avrebbe avallato la soluzione a campata unica, scelta dal Parlamento nel 2023, senza condurre una valutazione obiettiva e indipendente, come richiesto dalle normative europee in presenza di impatti ambientali certi. Si sottolinea inoltre come le conclusioni di un gruppo di lavoro tecnico del 2021, che proponevano soluzioni diverse, siano state completamente ignorate. Le misure di compensazione proposte sono giudicate \"gravemente insufficienti\", basandosi su dati obsoleti e sottostimando la perdita di habitat e gli effetti cumulativi di tutte le opere connesse al Ponte. A sostegno di questa tesi, viene citato un parere dell'ISPRA, che, sebbene acquisito dalla Commissione VIA-VAS, non sarebbe stato adeguatamente considerato. L'ISPRA aveva infatti dichiarato che \"l'impatto diretto e indiretto causato dal collegamento tra le due sponde e da tutte le infrastrutture ad esso collegato compresa l'enorme attività cantieristica per alcuni taxa (cioè alcune categorie di specie) in stato di conservazione sfavorevole o a rischio di estinzione non è mitigabile né compensabile\".
Alla luce di tutte queste argomentazioni, Greenpeace, Legambiente, Lipu e WWF ritengono che l'Italia stia contravvenendo alle direttive 92/43/CEE \"Habitat\" e 2009/147/CE \"Uccelli\". Per questo motivo, chiedono formalmente a Bruxelles l'avvio di una procedura d'infrazione contro lo Stato italiano, al fine di salvaguardare l'integrità ambientale e il rispetto delle normative europee.