La notte del 22 agosto ha visto i cittadini di San Giuliano Milanese svegliarsi tra spari e paura, provenienti dal Parco dei Giganti. Ciò che inizialmente sembrava un atto criminale si è rivelato essere un'operazione di abbattimento di lepri e nutrie condotta dalla Polizia Provinciale su ordine del Sindaco Marco Segala. L'intervento, giustificato come un \"piano di contenimento\" per la presunta sovrappopolazione di queste specie, ha generato un'ondata di indignazione e sgomento tra la popolazione locale. La modalità dell'intervento, con colpi d'arma da fuoco in un'area frequentata da famiglie e bambini, e la quasi totale assenza di preavviso, hanno alimentato la rabbia dei residenti, sollevando interrogativi sulla necessità e l'etica di tali azioni.
La reazione dei social media è stata immediata e veemente. Numerosi cittadini hanno espresso la loro disapprovazione, criticando la mancanza di buon senso e la scelta di utilizzare fucili anziché metodi meno letali e più rispettosi della fauna. Molti hanno evidenziato la pericolosità di sparare vicino ad abitazioni, nonostante l'area fosse temporaneamente chiusa al pubblico. I post ufficiali del Comune e del Sindaco, lungi dal placare gli animi, hanno alimentato ulteriormente il dibattito, mettendo in luce una gestione della comunicazione ritenuta da molti inadeguata e poco trasparente. L'operazione, sebbene rientri in un piano regionale, è stata percepita come sproporzionata e ingiustificata, soprattutto considerando i rischi per la sicurezza pubblica e la tranquillità dei residenti.
Sebbene l'operazione si inserisca in un quadro normativo regionale che prevede il contenimento delle specie invasive, come stabilito dalla Legge Regionale 7 ottobre 2002 n. 20, l'adozione di metodi traumatici e la mancanza di considerazione per l'impatto sulla comunità sono stati fortemente criticati. In Lombardia, il contenimento delle nutrie è comune a causa dei danni all'agricoltura e all'ecosistema, ma questo non giustifica l'uso di misure così estreme in un parco pubblico. Trasformare un'area verde in un campo di caccia notturno, con spari che incutono terrore e seminano sfiducia nelle istituzioni, è un approccio che non educa né tutela. È fondamentale trovare soluzioni che bilancino la necessità di controllo della fauna con il rispetto per gli animali e la sicurezza dei cittadini, promuovendo un approccio più etico e sostenibile alla gestione delle specie selvatiche.
Questo episodio serve da monito per riflettere sull'importanza di bilanciare le esigenze umane con il rispetto per la vita selvatica e l'ambiente. Ogni azione intrapresa dalle autorità dovrebbe essere guidata da principi di trasparenza, buon senso e minimizzazione del danno. È essenziale che le decisioni riguardanti la gestione della fauna selvatica non siano solo tecnicamente corrette, ma anche eticamente sostenibili e socialmente accettabili. Solo così si potrà costruire una società più armoniosa, dove la convivenza tra uomo e natura è basata sulla comprensione, il rispetto reciproco e la ricerca di soluzioni che beneficino tutti gli esseri viventi.
Nel suggestivo Golfo di Taranto, un'iniziativa pionieristica si appresta a trasformare il panorama della conservazione marina. Il San Paolo Dolphin Refuge, soprannominato il primo 'ospedale per delfini' del Mediterraneo, rappresenta un progetto d'avanguardia. Esteso su un'area di 7 ettari sull'isola di San Paolo, questa struttura avveniristica prevede il suo completamento entro la fine del 2025, con l'obiettivo di accogliere i primi esemplari nella primavera del 2026.
Il fondamento di questo santuario è l'offerta di una nuova esistenza per i delfini provenienti da acquari e delfinari, la cui chiusura è sempre più frequente in seguito all'evoluzione delle normative europee. Riconoscendo l'impossibilità di una reintroduzione diretta nell'oceano per animali abituati a decenni di cattività, il Dolphin Refuge si propone come un ambiente transitorio, controllato ma che ricalca la natura, dove questi cetacei potranno riscoprire i loro istinti naturali e godere di un benessere superiore.
L'ideazione di questo centro è frutto dell'ingegno di Carmelo Fanizza, fondatore della Jonian Dolphin Conservation (JDC), un'organizzazione tarantina che dal 2009 si dedica con passione alla ricerca e alla protezione dei cetacei. Fanizza ha anticipato l'esigenza di una tale struttura già nel 2018, prevedendo le modifiche legislative europee. Il suo scopo non è quello di ostacolare l'esistenza degli acquari, ma di proporre una soluzione tangibile e incentrata sul benessere degli animali, rispondendo a una problematica reale con un approccio proattivo.
Il cuore pulsante del rifugio è una vasta vasca principale di 1.600 metri quadrati, con una profondità che raggiunge gli 8 metri. Questa è equipaggiata con boe per il monitoraggio e un sofisticato sistema di idrofoni, capace di registrare in tempo reale i livelli di rumore sottomarino. La struttura include anche una vasca veterinaria, aree dedicate alla preparazione del cibo e spazi vitali per il personale specializzato. Il centro di controllo, la Control Room, è ubicato a Palazzo Amati, nel cuore storico di Taranto, sede anche del centro Kètos, quartier generale della JDC.
Il San Paolo Dolphin Refuge non sarà un mero luogo di accoglienza, ma si affermerà come polo di eccellenza per la ricerca scientifica e la divulgazione. Attraverso iniziative didattiche, come il programma \"Ricercatori per un giorno\", studenti e visitatori saranno attivamente coinvolti, trasformando ogni interazione in un'opportunità di approfondimento e sensibilizzazione ambientale. Con oltre 80 pubblicazioni scientifiche all'attivo, la JDC consolida la sua leadership internazionale nello studio dei cetacei.
Il rifugio di Taranto è concepito per servire da esempio e ispirazione per la creazione di strutture simili in altre nazioni, replicando il successo del primo centro inaugurato a Bali. L'auspicio è che diventi un simbolo globale per la conservazione degli ambienti marini, dimostrando concretamente che un futuro più promettoso e rispettoso per i delfini non è solo un'utopia, ma una realtà raggiungibile.
I nostri mari sono assediati da un invasore silenzioso: il granchio blu, una specie non autoctona proveniente dalle sponde atlantiche americane, che si è stabilita nel Mar Mediterraneo. Questa presenza sta generando squilibri ecologici significativi e danni economici considerevoli, soprattutto per le attività legate alla molluschicoltura, in ginocchio a causa della voracità di questo crostaceo.
La genesi di questa rivoluzionaria idea è affascinante, un'epifania casuale che ha dato il via allo sviluppo di un dispositivo innovativo. Roberto Passarella, uno dei due creatori, ha notato la reazione dei granchi a determinate vibrazioni sonore. Da questa intuizione elementare, in collaborazione con l'esperto elettronico Giacomo Perazzolo, è nato un prototipo di dissuasore. Questo congegno, realizzato in acciaio e autonomo grazie all'alimentazione solare tramite pannelli fotovoltaici galleggianti, emette una varietà di frequenze sonore, impedendo ai granchi di adattarsi e mantenendo alta l'efficacia nel tempo.
Le prove sul campo di questo sistema, protrattesi per oltre sei mesi in un allevamento di vongole a Porto Levante, hanno prodotto risultati straordinariamente positivi. I test preliminari hanno dimostrato che il dispositivo è capace di ridurre la densità del granchio blu fino al 90%, impedendo efficacemente il loro avvicinamento e la distruzione delle aree dedicate alla molluschicoltura. Di fronte a tale successo, i due inventori hanno prontamente proceduto con il brevetto della loro invenzione. L'interesse delle istituzioni non si è fatto attendere, con presentazioni ufficiali a Ferrara e il coinvolgimento di enti di spicco come l'Ispra e l'Università di Padova, incaricati di validare scientificamente i risultati.
Al momento, i dispositivi non sono stati ancora distribuiti su larga scala, poiché le autorità e le associazioni di categoria raccomandano cautela. Vadis Paesanti, vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca Emilia Romagna, ha esortato gli operatori a pazientare per i risultati della sperimentazione ufficiale. Nonostante le promesse, l'adozione su vasta scala di questi dissuasori, il cui costo si aggira tra i 2.000 e i 7.000 euro, rappresenta un investimento significativo per le aziende. Tuttavia, l'attesa del via libera scientifico apre a una speranza concreta per la salvaguardia degli allevamenti marini e dell'economia locale.