Le zecche, da sempre associate ai rischi delle passeggiate all'aria aperta e alla malattia di Lyme, si stanno rivelando un pericolo potenziale anche sulle nostre tavole. L'encefalite da zecche, un'infezione virale solitamente trasmessa tramite puntura, ha mostrato una modalità di contagio inaspettata: attraverso il consumo di latte e prodotti lattiero-caseari non sottoposti a pastorizzazione. Questa nuova consapevolezza, evidenziata dall'Agenzia francese per la sicurezza alimentare (ANSES), sottolinea l'importanza di rivedere le pratiche di sicurezza alimentare, specialmente per i prodotti artigianali.
La scoperta di focolai alimentari, seppur rari, ha spinto le autorità a rafforzare la sorveglianza e a informare il pubblico sui rischi. Animali da allevamento come capre, mucche e pecore, se punti da zecche infette, possono veicolare il virus nel loro latte. La pastorizzazione, un processo termico essenziale, si rivela la barriera fondamentale per neutralizzare questa minaccia. L'espansione geografica del virus, un tempo confinato a specifiche aree, rende l'attenzione su questo tema ancora più impellente, richiedendo un approccio integrato di prevenzione che coinvolga sia i produttori che i consumatori.
Le zecche sono comunemente note per trasmettere malattie tramite il loro morso, come la Borreliosi. Tuttavia, una ricerca dell'ANSES ha messo in luce una via di trasmissione alternativa per il virus dell'encefalite da zecche: il consumo di prodotti lattiero-caseari non trattati termicamente. Questo virus, sebbene raro, può causare sintomi neurologici gravi in una percentuale di persone infette, con possibili ripercussioni a lungo termine sulla salute. La trasmissione avviene quando animali infetti, come capre, mucche o pecore, rilasciano il virus nel loro latte. Se tale latte viene consumato crudo o utilizzato per produrre formaggi freschi senza pastorizzazione, il rischio di contagio umano aumenta significativamente. Un episodio emblematico si è verificato in Francia nel 2020, quando circa quaranta individui furono contagiati dopo aver consumato formaggi di capra non pastorizzati, evidenziando la concretezza di questo pericolo.
Questo scenario inatteso ha portato l'attenzione sulla necessità di implementare misure preventive efficaci. I formaggi a base di latte crudo, in particolare quelli di capra, ma anche di pecora o mucca, che non subiscono trattamenti termici o sono a breve stagionatura, rappresentano il rischio maggiore. La diffusione geografica del virus, che sta interessando nuove aree in Europa, impone una maggiore vigilanza. È fondamentale che allevatori e consumatori siano consapevoli di questo rischio emergente. L'importanza della pastorizzazione non è mai stata così evidente: è un passaggio cruciale per garantire la sicurezza del latte e dei suoi derivati. Parallelamente, è necessario adottare strategie di gestione degli allevamenti che minimizzino l'esposizione degli animali alle zecche, come la rotazione dei pascoli e il controllo dell'accesso alle aree infestate.
Per mitigare la trasmissione alimentare del virus dell'encefalite da zecche, l'ANSES ha formulato raccomandazioni chiare e mirate. La pastorizzazione del latte assume un ruolo centrale, specialmente in presenza di focolai virali o di animali infetti. Questo processo termico è l'unico metodo efficace per eliminare il virus dal latte, rendendolo sicuro per il consumo. Accanto a ciò, è essenziale adottare pratiche di gestione degli allevamenti che riducano il contatto tra gli animali e le zecche. Ciò include la limitazione dell'accesso delle capre, e di altri animali, alle aree ad alto rischio e la pratica della rotazione dei pascoli, che può contribuire a diminuire la popolazione di zecche nel terreno.
Inoltre, l'agenzia ha sottolineato la necessità di una sorveglianza epidemiologica rafforzata. Questo significa monitorare attentamente non solo i casi di infezione umana, ma anche la circolazione del virus negli animali sentinella (come capre, mucche e cervi) e direttamente nelle zecche presenti sul territorio. La ricerca scientifica gioca un ruolo chiave in questa battaglia, con vari laboratori dell'ANSES impegnati a studiare la sopravvivenza del virus nei prodotti lattiero-caseari, l'efficacia dei trattamenti di pastorizzazione e l'identificazione dei ceppi virali più pericolosi. Solo attraverso una comprensione approfondita del virus e dei suoi meccanismi di trasmissione sarà possibile sviluppare strategie preventive ancora più efficaci e proteggere la salute pubblica da questa minaccia in evoluzione. L'attenzione non è solo sulle punture dirette, ma anche su vie di contagio indirette che richiedono nuove abitudini e consapevolezze nel consumo alimentare.
Il mondo dell'etichettatura alimentare, in particolare per i prodotti che contengono ingredienti complessi, è un terreno che genera ancora molte domande. Comprendere appieno come le percentuali degli ingredienti debbano essere calcolate e dichiarate è essenziale sia per i produttori, che devono attenersi alle normative, sia per i consumatori, che cercano trasparenza e informazioni accurate. Le recenti indicazioni ministeriali mirano a fare chiarezza su questo aspetto cruciale, definendo criteri precisi per la quantificazione degli elementi caratterizzanti un prodotto.
Quando un alimento include una preparazione complessa, come le 'melanzane fritte' all'interno di un 'Pasticcio di melanzane', il calcolo della percentuale dell'ingrediente principale, in questo caso le melanzane, può diventare controintuitivo. Le direttive spiegano come approcciare queste situazioni, distinguendo tra l'indicazione della quantità dell'ingrediente base rispetto al composto complessivo e l'indicazione rispetto al prodotto finito. Questo chiarimento è fondamentale per evitare interpretazioni errate e per assicurare che le etichette forniscano dati significativi e facilmente comprensibili al pubblico.
Il concetto di QUID, o Quantità degli Ingredienti Determinanti, è al centro delle discussioni sull'etichettatura alimentare. Si riferisce alla quantità media degli ingredienti che definiscono l'identità di un prodotto, sia perché appaiono nel nome del prodotto stesso, sia perché sono enfatizzati attraverso testi o immagini sulla confezione. Questa metodologia è stata sviluppata per fornire ai consumatori una maggiore comprensione della composizione dei prodotti che acquistano, permettendo loro di fare scelte informate.
Tuttavia, l'applicazione del QUID può diventare complessa quando si tratta di ingredienti composti, ovvero preparazioni che a loro volta contengono più elementi. Le linee guida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, rilasciate nel settembre 2024, affrontano proprio questa difficoltà. Esse stabiliscono che, se un ingrediente composto (ad esempio, una crema in un biscotto) è menzionato nella denominazione di vendita, la sua percentuale deve essere indicata. Ma la vera novità risiede nella specificazione che, se anche un ingrediente all'interno di tale composto è evidenziato, la sua percentuale deve essere dichiarata in relazione all'ingrediente composto stesso, offrendo un'interpretazione più dettagliata e puntuale della normativa.
Le nuove direttive hanno un impatto significativo sul modo in cui le aziende alimentari devono etichettare i loro prodotti, in particolare per quelli con formulazioni complesse. Prendiamo il caso di un 'Pasticcio di melanzane': se la denominazione fa riferimento direttamente alle melanzane 'tal quali', la percentuale di queste ultime deve essere espressa rispetto al peso del prodotto finito al momento dell'utilizzo. Questo significa che l'etichetta dovrebbe specificare 'melanzane fritte (melanzane XX%, più gli altri ingredienti delle melanzane fritte)', dove XX% si riferisce alla quantità di melanzane sul totale del prodotto finale.
Qualora il prodotto fosse denominato 'Pasticcio di melanzane fritte', la situazione cambia leggermente. In questo scenario, è necessario indicare il QUID delle 'melanzane fritte' in rapporto al prodotto finito, e contemporaneamente, il QUID delle melanzane grezze in relazione alla quantità di melanzane fritte utilizzate. Un esempio pratico fornito dalle linee guida chiarisce ulteriormente: 'melanzane fritte 40% (melanzane 70% – pari al 28% sul prodotto finito – a seguire gli altri ingredienti delle melanzane fritte)'. Questo approccio più dettagliato assicura una maggiore trasparenza e chiarezza per il consumatore, facilitando la comprensione della composizione effettiva degli alimenti.
Per coloro che sono venuti al mondo tra gli anni Sessanta e Settanta, l'aria respirata era, senza che se ne avesse consapevolezza, intrisa di concentrazioni significative di piombo. Un recente studio, presentato durante l'Alzheimer's Association International Conference (AAIC) del 2025, ipotizza che questa precoce esposizione possa aver lasciato un segno duraturo sulla funzionalità della memoria e sulla lucidità mentale, le cui ripercussioni si manifestano anche dopo cinquant'anni.
Nel periodo che va dal 1960 al 1974, sia negli Stati Uniti che in diverse nazioni occidentali, inclusa l'Italia, la benzina conteneva piombo. Questa composizione rilasciava nell'ambiente ingenti quantità di una sostanza nociva, soprattutto nelle metropoli e nelle aree ad alta intensità veicolare. Oggi, sappiamo che gli individui cresciuti in tali contesti presentano una probabilità superiore di circa il 20% di affrontare difficoltà mnemoniche da adulti.
Questa scoperta deriva da un'indagine guidata da Eric Brown, MD, del Centre for Addiction and Mental Health di Toronto, che ha esaminato i dati di oltre 600.000 cittadini americani di età superiore ai 65 anni. Gli studiosi hanno correlato le storiche concentrazioni di piombo nell'atmosfera tra il 1960 e il 1974 con i disturbi della memoria riferiti dai partecipanti stessi mezzo secolo dopo.
Gli esperti hanno calcolato le medie dei livelli di piombo atmosferico per ogni zona geografica, confrontandole con le problematiche di memoria auto-riferite, come desunte dall'American Community Survey tra il 2012 e il 2021. Sebbene non abbiano esaminato direttamente le fonti di piombo, è plausibile che le aree urbane caratterizzate da un elevato volume di traffico veicolare presentassero un maggiore inquinamento. In queste zone, una percentuale tra il 17% e il 22% degli individui ha segnalato difficoltà mnemoniche.
La conclusione è univoca: il piombo ha impresso una traccia indelebile sul cervello, incrementando la sua vulnerabilità a patologie quali l'Alzheimer.
Il Dottor Brown ha evidenziato: “La nostra ricerca potrebbe fornirci chiavi di lettura per comprendere i percorsi che contribuiscono allo sviluppo della demenza e della malattia di Alzheimer in alcuni individui.”
Inizialmente, il piombo era incluso nella benzina per ottimizzarne le prestazioni, fino a quando non si comprese la sua grave incidenza sulla salute e sull'ambiente. La sua rimozione ebbe inizio nel 1975, contemporaneamente all'obbligo di installare convertitori catalitici sui veicoli di nuova produzione negli Stati Uniti, e si concluse nell'arco di circa due decenni, mentre in Europa il processo fu più graduale.
Esme Fuller-Thomson, Ph.D., coautrice dello studio e docente presso l'Università di Toronto, ha rammentato: “Quando ero bambina, nel 1976, i livelli di piombo nel sangue dei bambini erano quindici volte superiori a quelli attuali. L'88% di noi presentava valori che superavano i 10 microgrammi per decilitro, soglia oggi considerata pericolosamente alta.”
Nonostante la diminuzione del piombo nell'aria, persistono altre vie di esposizione, come le pitture e le tubature datate. Pertanto, coloro che sono stati esposti in passato dovrebbero cercare di mitigare ulteriori fattori di rischio per la demenza, quali ipertensione, fumo e isolamento sociale, come sottolineato dal Professor Brown.
Non è un caso che questa nuova ricerca sia stata presentata per la prima volta proprio all'Alzheimer's Association International Conference (AAIC) 2025, svoltasi a Toronto di recente. In tale contesto, sono stati discussi altri due studi che confermano la pericolosità dell'esposizione al piombo.
Il primo ha evidenziato che gli anziani residenti entro circa cinque chilometri da complessi industriali che emettono piombo – come fabbriche di vetro o produttori di elettronica – manifestano un peggioramento più rapido delle funzioni mnemoniche e cognitive.
Kathryn Conlon, Ph.D., dell'Università della California Davis, autrice senior dello studio, ha osservato: “I nostri risultati suggeriscono che l'esposizione al piombo in età adulta possa contribuire a un deterioramento delle prestazioni cognitive in pochi anni. Nonostante i notevoli progressi nella riduzione del piombo, gli studi hanno dimostrato che non esiste un livello di esposizione sicuro e la metà dei bambini statunitensi presenta concentrazioni rilevabili di piombo nel sangue. Inoltre, esistono aree e quartieri con una maggiore esposizione.”
L'altro studio ha rivelato come persino quantità minime di piombo possano alterare le cellule cerebrali umane, favorendo l'accumulo di proteine anomale associate all'Alzheimer, quali tau e beta-amiloide. Questi danni cellulari perdurano nel tempo, rendendo il cervello suscettibile a una vulnerabilità cronica.
Junkai Xie, Ph.D., autore principale, ha affermato: “Questi esiti contribuiscono a chiarire come l'esposizione al piombo, specialmente nei primi anni di vita o attraverso fonti professionali e ambientali, possa lasciare una traccia molecolare duratura nel cervello, rendendolo più vulnerabile a patologie legate all'invecchiamento come l'Alzheimer. I nostri dati dimostrano che l'esposizione al piombo non è un problema transitorio; può preparare il terreno per difficoltà cognitive decenni più tardi.”