Una consumatrice, durante il controllo di routine dell'etichetta di un minestrone surgelato a marchio Bonduelle, ha notato con sorpresa la presenza di diversi additivi, tra cui lo stabilizzante E450. Tale scoperta ha generato interrogativi sulla reale necessità di queste sostanze in prodotti la cui conservazione dovrebbe essere garantita principalmente dalla surgelazione. La lettrice ha espresso il suo disappunto per la complessità delle etichette, che costringe a un'attenta e lunga lettura per ogni acquisto, chiedendo chiarimenti in merito.
In risposta alle preoccupazioni sollevate, Bonduelle ha ribadito il proprio impegno per la qualità e la sicurezza dei suoi prodotti. L'azienda ha spiegato che l'uso di stabilizzanti come l'E450, seppur perfettamente sicuro e conforme alle normative vigenti, è finalizzato a mantenere la consistenza ideale del prodotto durante i cicli di surgelamento e scongelamento. Ascoltando attivamente il feedback dei consumatori, Bonduelle ha annunciato una significativa riformulazione del Minestrone Ricco, che sarà disponibile sul mercato a partire da dicembre 2025. Questa nuova versione sarà completamente priva di stabilizzanti ed emulsionanti, confermando l'orientamento dell'azienda verso l'offerta di alimenti sempre più semplici e naturali, pur mantenendo gli elevati standard di qualità e gusto che la contraddistinguono.
Il recente studio di Mattia Scaroni, intitolato \"Il pacco da giù. Analisi sociale degli studenti fuori sede\", edito da Meltemi Press, rivela la complessa tessitura di significati che si cela dietro un'abitudine apparentemente semplice: l'invio di pacchi alimentari dal Sud al Nord Italia. Questo volume, frutto di una tesi di laurea in Antropologia culturale, analizza come questi \"pacchi da giù\" siano molto più di un semplice assortimento di prodotti tipici come taralli e olio d'oliva. Essi incarnano un profondo valore simbolico, culturale ed emotivo, fungendo da ponte invisibile che unisce le famiglie meridionali ai loro figli e parenti emigrati per studio o lavoro. L'opera di Scaroni, basata anche sulla sua esperienza personale di pugliese trasferitosi a Torino, illumina la nostalgia di casa e il desiderio di cura a distanza, aspetti fondamentali della diaspora meridionale in Italia.
Nell'Italia contemporanea, il concetto di \"pacco da giù\" ha assunto una notorietà crescente, anche grazie alla popolarizzazione da parte di figure come i creatori di contenuti campani di Casa Surace. Tuttavia, è nel contesto accademico e con la pubblicazione del libro di Mattia Scaroni, \"Il pacco da giù. Analisi sociale degli studenti fuori sede\" (Meltemi Press, 2025), che questo fenomeno riceve la sua più approfondita disamina. Il 28 agosto 2025, questa pubblicazione ha offerto una prospettiva inedita sul valore antropologico e sociale di tali spedizioni.
Il libro introduce il lettore a diverse storie emblematiche: da Martina e Lorenzo, giovani foggiani che hanno scelto Torino per proseguire gli studi universitari, a Maddalena, una madre barese con tre figli che hanno trovato impiego nel settentrione, fino a Pasquale, un pensionato pugliese anch'egli trapiantato a Torino per ragioni lavorative. Nonostante le loro diverse traiettorie di vita, queste persone condividono un'origine pugliese e un'esperienza di migrazione interna. Ma soprattutto, sono tutti destinatari di quel legame tangibile eppure profondamente immateriale rappresentato dal \"pacco da giù\".
Scaroni, anch'egli originario della Puglia e trasferitosi a Torino per motivi di studio, ha utilizzato la sua stessa esperienza come punto di partenza per una ricerca che trascende la mera definizione logistica del pacco. Non si tratta solo di una scatola di cartone contenente alimenti vari, spesso specialità regionali come taralli, friselle, conserve fatte in casa e olio d'oliva. Piuttosto, il \"pacco da giù\" è un veicolo di affetto, un gesto concreto di premura che le famiglie del Sud inviano ai loro cari. Esprime il desiderio di continuare a \"nutrire\" a distanza, in un senso che va oltre il puramente fisico, e al contempo risponde alla nostalgia di chi, lontano dalla propria terra, brama il sapore e il profumo di casa. Questa analisi rivela come il pacco sia un testimone silenzioso di legami familiari indissolubili, un simbolo potente di identità e appartenenza che continua a plasmare le relazioni tra il Mezzogiorno e il Settentrione d'Italia, mantenendo viva la cultura e le tradizioni meridionali.
Questo volume ci invita a riflettere su come oggetti quotidiani possano assumere un significato profondo e trasformativo. Il \"pacco da giù\" non è solo un ponte tra due geografie, ma anche tra passato e presente, tra tradizione e modernità, ricordandoci che la cura e l'affetto possono viaggiare attraverso qualsiasi distanza, arricchendo la vita di chi dà e di chi riceve. È una lezione universale sulla forza dei legami umani e sulla resilienza delle identità culturali in un mondo sempre più mobile.
Il legame intrinseco tra le nostre emozioni e le abitudini alimentari è un fenomeno ampiamente riconosciuto ma spesso trascurato, specialmente quando si manifesta come \"fame nervosa\". Questa condizione, scatenata da sentimenti come ansia, tristezza, o persino gioia, può indurre le persone a consumare cibo anche in assenza di un reale bisogno fisico, portando a conseguenze significative sul peso corporeo e sul benessere generale. Il percorso verso una relazione più equilibrata con il cibo richiede la comprensione delle radici emotive che spingono a mangiare, l'adozione di pratiche alimentari consapevoli e la capacità di decifrare i segnali interni del proprio corpo, distaccandosi dalle diete restrittive che tendono a fallire nel lungo periodo.
In un mondo in costante evoluzione, dove lo stress e le pressioni quotidiane sono all'ordine del giorno, emerge sempre più prepotentemente la problematica della fame emotiva. Questo fenomeno, in cui stati d'animo intensi quali la malinconia, la collera, l'isolamento o i postumi di eventi traumatici, fungono da catalizzatori per un consumo smodato di cibo, anche quando il corpo non ne necessita, è un fattore determinante nell'incremento del peso corporeo. La storia di Tiphaine, ex-ballerina il cui percorso è stato documentato dalla rivista 60 Millions de consommateurs, incarna la lotta contro l'anoressia, la bulimia e le abbuffate compulsive. La sua testimonianza evidenzia come il cibo possa trasformarsi in un mero strumento per affrontare un profondo disagio interiore.
La psicologa Sabrina Julien-Sweerts sottolinea la natura istintiva di questo legame, evidenziando come la ricerca di conforto nel cibo sia un comportamento comune tra i mammiferi. Tuttavia, la sfida sorge quando questa dinamica diventa l'unica via per la regolazione emotiva, offuscando la percezione dei segnali di fame e sazietà. Una ricerca condotta dal rinomato psicologo olandese Cornelis van Strien su un campione di 5.000 individui per un periodo di sette anni ha rivelato che coloro che si affidano al cibo per gestire le proprie emozioni tendono a guadagnare peso con maggiore facilità. Sebbene la fame emotiva non sia ancora stata pienamente categorizzata o riconosciuta universalmente, essa si manifesta con una vasta gamma di sfumature personali, con le emozioni negative che giocano un ruolo preponderante. Al contrario, la gioia, pur essendo un sentimento positivo che può associarsi al cibo, raramente innesca episodi di abbuffata, come evidenziato dalla psicologa Laurence Haurat. Un recente studio pubblicato su Frontiers in Psychology nel 2021 ha ulteriormente chiarito che il consumo di cibo per celebrare momenti felici non è di per sé dannoso, ma può rafforzare l'associazione tra emozioni e cibo, aprendo la strada a comportamenti disfunzionali nel tempo.
A livello fisiologico, i meccanismi che collegano le emozioni all'alimentazione sono ora ben compresi. L'assunzione di carboidrati e grassi stimola il sistema dopaminergico cerebrale, generando sensazioni di piacere e ricompensa. Questa risposta, una volta memorizzata, alimenta la ricerca di cibo anche in assenza di fame. Lo stress, in particolare, è un potente fattore di incremento ponderale, poiché innesca il rilascio di cortisolo, un ormone che acuisce l'appetito e favorisce l'accumulo di grasso. Con il tempo, questa reazione emotiva si automatizza, spingendo al consumo inconsapevole di cibo per placare ogni minimo disagio. La psichiatra Coralie Gaspard del CHRU di Nancy avverte che la privazione genera frustrazione, la quale a sua volta sfocia in compulsione, creando una spirale autodistruttiva che non può essere interrotta da semplici regimi dietetici.
Spesso, la radice della fame emotiva affonda in esperienze traumatiche pregresse. Il centro per la gestione dell'obesità dell'ospedale di Nancy ha rilevato che l'81% dei pazienti assistiti aveva una storia di trauma, spaziando da carenze affettive precoci ad abusi. In tali circostanze, il cibo diventa un \"sostegno emotivo\", una forma di auto-protezione. Anche le esperienze infantili modellano profondamente il rapporto con il cibo. Bambini cresciuti in ambienti eccessivamente rigidi o, al contrario, troppo permissivi, possono avere difficoltà a distinguere tra fame fisiologica e fame nervosa. L'uso del cibo come ricompensa o consolazione durante l'infanzia può creare una dipendenza emotiva che persiste nell'età adulta.
Con l'arrivo della stagione estiva, l'attenzione sul corpo si intensifica, come dimostrato da un sondaggio Ifop del 2023, che ha rivelato come il 53% dei francesi (e il 67% delle donne) si senta a disagio in costume da bagno, e il 39% provi ansia all'idea di esporsi in spiaggia. L'ossessione per il \"summer body\" è associata a un aumento dei disturbi mentali e alimentari. Anche in Italia, la pressione per il dimagrimento rapido è evidente ogni primavera, spesso promossa attraverso integratori o diete lampo che ignorano le cause profonde dell'aumento di peso.
Le diete tradizionali, basate sulla restrizione, spesso falliscono nel lungo termine perché non affrontano le cause emotive dell'eccesso di peso. Al contrario, approcci emergenti come l'alimentazione consapevole, che incoraggia l'attenzione ai segnali fisici ed emotivi prima, durante e dopo i pasti, senza giudizio, stanno guadagnando terreno. Uno studio francese del 2024 pubblicato su Appetite ha dimostrato che questo approccio si associa a una migliore qualità della dieta, a un minor consumo di alimenti ultra-processati e a un apporto calorico più moderato. Riconoscere il legame tra emozioni e alimentazione è il primo passo cruciale. Imparare a distinguere la fame reale da quella emotiva, accettare le proprie emozioni, trovare piaceri alternativi al cibo e abbandonare il senso di colpa sono strategie fondamentali per prevenire la compulsione. Infine, il contesto sociale gioca un ruolo cruciale. La ricercatrice Rebecca Puhl dell'Università del Connecticut ha evidenziato che la stigmatizzazione del peso peggiora la situazione: il 79% delle donne in sovrappeso che ricevono critiche sul proprio corpo dichiara di mangiare di più, e il 75% rinuncia a tentare di dimagrire. Questo dato impone una riflessione profonda e ci spinge verso una cultura più empatica e meno giudicante.