Una decisione sconvolgente è stata presa presso il giardino zoologico di Norimberga, in Germania, dove la soppressione di una dozzina di babbuini della Guinea, tutti in perfetta salute, ha scatenato un'accesa polemica a livello nazionale. La motivazione addotta per questa azione estrema è stata il sovraffollamento dell'area a loro dedicata. Nonostante la direzione abbia definito l'intervento come indispensabile, questa scelta ha generato un'ondata di sdegno e forti proteste da parte delle organizzazioni per i diritti degli animali.
La problematica della sovrappopolazione era ben nota da tempo: la colonia di babbuini superava i quaranta esemplari, in uno spazio pensato per accoglierne non più di venticinque. I tentativi del personale veterinario di controllare la natalità tramite metodi contraccettivi si sono rivelati infruttuosi, e nessun'altra struttura zoologica in Europa si è resa disponibile ad ospitare una parte del gruppo, aggravando ulteriormente la situazione.
Il direttore Dag Encke ha spiegato che né un'espansione degli spazi né la reintroduzione degli animali nel loro ambiente naturale erano opzioni praticabili. Secondo una dichiarazione ufficiale, la soppressione è stata condotta in conformità con le direttive dell'Associazione Europea degli Zoo e degli Acquari (EAZA), le quali considerano l'eliminazione come 'ultima spiaggia legittima' in circostanze critiche. Lo staff ha specificato che gli esemplari in gravidanza e quelli coinvolti in studi scientifici sono stati risparmiati.
Questa drastica iniziativa ha provocato una forte reazione da parte degli attivisti animalisti, che hanno organizzato manifestazioni all'ingresso del parco zoologico. Alcuni dimostranti si sono incatenati o hanno bloccato gli accessi, tentando persino di introdursi nella struttura per impedire la soppressione. L'esito è stato l'arresto di sette persone coinvolte nelle proteste.
L'organizzazione Pro Wildlife ha etichettato gli abbattimenti come "illegali e superflui", accusando lo zoo di aver mantenuto per anni politiche di allevamento insensate. Anche la DJGT, la Federazione Tedesca per la Protezione degli Animali, ha fortemente censurato l'accaduto, sottolineando che, per legge, “la soppressione di vertebrati è consentita solo in presenza di una ragione valida”, e che la sovrabbondanza riproduttiva non dovrebbe esserlo.
A rendere ancora più accesa la controversia è stata la rivelazione che i corpi dei babbuini soppressi sono stati utilizzati come cibo per i carnivori ospitati nello stesso zoo. Questo atto ha intensificato il dibattito pubblico, non solo su questioni etiche, ma anche sulla reale responsabilità nella gestione degli animali in cattività. Un'azione che alcuni hanno interpretato come l'ennesimo esempio di una gestione spietata, che declassa gli animali a semplici oggetti o risorse da eliminare nel modo più pratico possibile.
La vicenda dei babbuini di Norimberga rivela una profonda disconnessione tra le ambizioni biologiche, le procedure amministrative e i principi morali. Ci si interroga se sia veramente possibile parlare di conservazione o di sensibilizzazione ambientale, valori spesso promossi dagli zoo, quando la morte diventa una soluzione organizzativa. È accettabile sopprimere creature sane per rimediare a carenze nella pianificazione umana? Questo episodio non è solo un caso di sovrappopolazione, ma un chiaro segnale delle contraddizioni di un sistema in cui la vita animale sembra avere valore solo finché è funzionale o gestibile dagli esseri umani.
Un sorprendente evento ha scosso il mondo scientifico: un piccolo abitante dell'arcipelago delle Galápagos, il geco dalle dita a foglia di Mares (Phyllodactylus maresi), precedentemente ritenuto estinto da circa cinquemila anni, è stato avvistato nuovamente sull'isola di Rábida. Quest'incredibile riemersione, documentata attraverso studi approfonditi pubblicati su una rivista scientifica, si basa su osservazioni effettuate durante spedizioni di ricerca nel 2019 e nel 2021. Il team di studiosi, composto da specialisti di diverse istituzioni scientifiche e di conservazione, ha condotto analisi morfologiche e genetiche per confermare l'identità di questa popolazione.
Questo inatteso ritorno non è stato un mero caso, ma il diretto esito di un ambizioso programma di recupero ambientale avviato nel 2011. L'iniziativa mirava all'eliminazione di specie invasive, in particolare i roditori che rappresentavano una grave minaccia per gli ecosistemi nativi dell'isola. Una volta rimossi questi predatori, l'ambiente ha mostrato una rapida capacità di recupero, permettendo a specie come il geco di rioccupare il loro habitat. Sebbene esemplari di Phyllodactylus maresi fossero già conosciuti in altre isole dell'arcipelago, la popolazione di Rábida si distingue per significative variazioni genetiche, confermando la sua unicità evolutiva e rafforzando il suo valore in termini di conservazione.
La vicenda del geco di Mares offre una potente lezione di speranza e dimostra che un approccio strategico e mirato alla gestione delle minacce ambientali può portare a risultati eccezionali. La natura possiede una straordinaria capacità di rigenerarsi, a patto che le venga concesso lo spazio e il tempo necessari. Le isole, nonostante la loro intrinseca fragilità, possono diventare modelli di resilienza ecologica. Il recupero di questa specie simboleggia la possibilità di rimediare ai danni passati, purché si agisca con lungimiranza e tempestività.
Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla drammatica realtà della sperimentazione animale, un'espressione che desidereremmo veder scomparire dal nostro lessico. La PETA ha diffuso un video esclusivo, girato all'interno dei centri di ricerca del Massachusetts General Hospital, affiliato alla Harvard Medical School. Questo filmato rivela senza censura le terribili verità che si celano dietro le porte chiuse di una delle più prestigiose istituzioni sanitarie a livello globale.
Queste non sono immagini raccolte da attivisti o volontari; si tratta di materiale interno, un'opportunità rara per portare alla luce un tormento spesso celato e ignorato, fino a quando non viene brutalmente esposto, come in questo caso. All'interno di questi laboratori, centinaia di primati, suini, conigli, topi e ratti sono sottoposti a esperimenti dolorosi e inumani. Sono confinati in spazi ristretti e privi di stimoli, privati della luce naturale e dell'aria aperta, e tormentati da rumori costanti e spaventosi. Il video mostra animali con dispositivi chirurgicamente impiantati, che evidenziano i segni inequivocabili di un'esistenza segnata da terrore, confusione e angoscia psicologica.
Questi esseri viventi, che per loro natura dovrebbero essere liberi di muoversi, esplorare e interagire, sono invece condannati a una vita lontana anni luce da qualsiasi concetto di benessere. E purtroppo, la situazione che emerge dal video non è un caso isolato o sorprendente, ma riflette la crudele quotidianità di numerosi laboratori di sperimentazione animale in tutto il mondo.
Presso il Massachusetts General Hospital, si verificano pratiche sconvolgenti: babbuini subiscono trapianti di organi da suini geneticamente modificati, spesso con esiti letali; a primati vengono perforati i crani per l'inserimento di elettrodi; vengono eseguiti interventi invasivi su midollo osseo e cellule staminali. Questi esperimenti, oltre a causare sofferenze estreme, non hanno finora prodotto alcun vantaggio tangibile per la salute umana, lasciando dietro di sé solo una scia di dolore e morte.
Tutto questo è sostenuto da centinaia di milioni di dollari pubblici, come i circa 327 milioni erogati nel 2024 dai National Institutes of Health. Si tratta di denaro sprecato in sofferenze superflue anziché essere investito in metodologie scientifiche etiche e innovative. Questo non è quindi più solo un dilemma morale, ma anche un fallimento scientifico ed economico. I laboratori di sperimentazione animale negli Stati Uniti, inclusi i sette National Primate Research Center, continuano a dilapidare ingenti fondi per esperimenti che infliggono solo sofferenze, senza alcun risultato concreto in termini di cure o trattamenti utili.
Coloro che risiedono negli Stati Uniti possono aderire alla petizione PETA, che esige la cessazione di questi finanziamenti e la transizione verso metodi di ricerca più moderni, etici e validi per la medicina umana. Tutti gli altri possono contribuire esercitando pressione sulle istituzioni per fermare esperimenti crudeli, come quelli condotti dall'Università del Massachusetts-Amherst sui macachi marmoset. L'impegno di tutti è fondamentale per porre fine a questa assurdità.