La vicenda legata alla realizzazione dell'inceneritore a Santa Palomba, nell'area metropolitana di Roma, prosegue il suo percorso tra passi formali e contestazioni. Dopo la consegna dell'area al concessionario, il dibattito si concentra ora sulle procedure autorizzative e sulle richieste di maggiore trasparenza da parte delle associazioni locali, che evidenziano la necessità di un'analisi più approfondita delle alternative progettuali e di ubicazione, come previsto dalle normative vigenti.
In una data recente, Roma Capitale ha ufficialmente trasferito la gestione delle zone industriali di Santa Palomba alla società RenewRome Srl, concessionario incaricato della costruzione di un termovalorizzatore. Questa mossa strategica, concretizzatasi dal 2 settembre, segna l'inizio delle operazioni propedeutiche all'allestimento del cantiere e alla preparazione del sito. Tra queste, sono previste indagini archeologiche approfondite, ispezioni per l'eventuale rilevamento di ordigni bellici e la rimozione di strutture abusive preesistenti, il tutto in linea con il cronoprogramma stabilito.
Contemporaneamente a queste attività sul campo, il procedimento per l'ottenimento del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) continua a svolgersi. Questo iter autorizzativo è cruciale per garantire la piena legittimità e il proseguimento dei lavori per la realizzazione dell'impianto.
Tuttavia, la trasparenza di questo processo è stata messa in discussione da Rete Tutela Roma Sud. Il portavoce dell'organizzazione, Marco Alteri, ha espresso preoccupazione riguardo alla natura formale della consegna dell'area, sottolineando come essa rafforzi il legame contrattuale tra committente e concessionario. Alteri ha inoltre evidenziato che, nonostante le richieste di documentazione integrativa e di deroga avanzate da numerosi Comuni circostanti l'area del futuro impianto, non è stata ancora fornita alcuna risposta da parte della Struttura commissariale. Un aspetto particolarmente critico sollevato è la presunta mancanza di descrizione delle “ragionevoli alternative” alla soluzione adottata, un requisito imprescindibile secondo le direttive europee. Le disposizioni operative VIA della Regione Lazio (DGR 884/2022) rafforzano ulteriormente il legame tra la selezione della localizzazione e la qualità della valutazione istruttoria. La Rete ha ribadito che la giustificazione basata sull'ordinanza commissariale n. 8/2022, che ha fissato il sito di Santa Palomba, non può esimere dall'esame di opzioni alternative. La giurisprudenza e le prassi unionali sono inequivocabili nel ritenere che atti interni non possano bypassare l'analisi delle alternative nel processo VIA, pena la potenziale invalidazione dell'atto conclusivo.
A fronte di queste criticità, Rete Tutela Roma Sud ha chiesto la presentazione di uno studio integrativo che delinei un ventaglio di siti alternativi, come aree industriali o brownfield compatibili con i piani regolatori e i criteri urbanistici, definendo un perimetro di ricerca motivato da vincoli, accessibilità, infrastrutture energetiche/idriche e prossimità a recettori sensibili. È stato altresì richiesto un confronto multicriterio tra le alternative proposte, valutando l'impatto su parametri ambientali quali aria, suolo, acqua, rumore, traffico, paesaggio, salute, consumo di suolo e emissioni di CO₂, con indicatori chiari e pesi trasparenti, in conformità alle linee guida SNPA 28/2020. Dal punto di vista procedurale, è stata sollecitata la sospensione dei termini del procedimento RM/2025/6475 fino alla presentazione di questo studio integrativo, al fine di garantire che l'opzione ambientalmente più vantaggiosa venga integrata nel VIA/PAUR, accompagnata da condizioni coerenti e una motivazione adeguata. L'associazione si riserva il diritto di valutare l'improcedibilità del dossier in caso di mancato adempimento, citando la carenza dei contenuti minimi previsti dall'Allegato VII del Testo Unico Ambientale. Questa insistente richiesta evidenzia l'importanza cruciale di una valutazione ambientale rigorosa e trasparente, in piena aderenza con la normativa vigente, per assicurare la sostenibilità e la legittimità delle iniziative sul territorio.
La vicenda dell'inceneritore di Santa Palomba solleva importanti interrogativi sulla gestione dei rifiuti e sulla trasparenza delle decisioni amministrative. Come osservatori, è fondamentale che i processi di valutazione ambientale siano condotti con la massima integrità, garantendo che tutte le alternative vengano esaminate scrupolosamente e che le preoccupazioni della cittadinanza siano ascoltate e affrontate. Solo così si potrà costruire un futuro sostenibile, dove lo sviluppo non comprometta la salute e l'ambiente. È un chiaro promemoria che la partecipazione pubblica e un'analisi rigorosa sono i pilastri di una governance responsabile.
Un recente studio pubblicato su Nature Communications ha rivelato la profonda influenza della deforestazione sulle condizioni climatiche dell'Amazzonia, evidenziando come le attività di disboscamento siano il motore principale della riduzione delle piogge nella stagione secca. Questo fenomeno sta spingendo il polmone verde del pianeta verso una trasformazione preoccupante, con impatti non solo regionali ma anche globali. La ricerca sottolinea l'urgenza di misure conservative per salvaguardare questo ecosistema vitale.
Tra il 1985 e il 2020, un team di scienziati guidato da Marco A. Franco dell'Università di San Paolo ha condotto un'approfondita indagine sulle dinamiche climatiche della vasta Amazzonia legale brasiliana, coprendo circa 2,6 milioni di chilometri quadrati. Attraverso l'analisi di dati satellitari e modelli climatici avanzati, sono state esaminate variabili cruciali come le temperature massime, le precipitazioni stagionali e le concentrazioni di gas serra. I risultati indicano chiaramente che la deforestazione è responsabile di una parte significativa della riduzione delle piogge. Nello specifico, la stagione secca ha registrato un calo medio di 21 millimetri di pioggia, di cui quasi tre quarti (74,5%) sono attribuibili direttamente alla perdita di foreste. Anche se il riscaldamento globale gioca un ruolo, contribuendo per il restante 25,5%, l'impatto locale del disboscamento è predominante. Le temperature massime superficiali, nel frattempo, sono aumentate di circa 2 gradi Celsius, con la deforestazione che contribuisce per il 16,5% a questo incremento, mentre il resto è legato a fattori climatici globali. È stato inoltre evidenziato che l'aumento dei gas serra, come anidride carbonica e metano, è quasi totalmente (oltre il 99%) collegato alle emissioni globali piuttosto che a processi locali. Un aspetto allarmante è la non linearità degli impatti: anche riduzioni minime della copertura forestale (tra il 10% e il 40%) possono scatenare effetti climatici devastanti. Le proiezioni future, basate sui tassi di deforestazione tra il 2016 e il 2020, prevedono un ulteriore aumento della temperatura di 0,62 gradi Celsius e una diminuzione delle piogge di 7,3 millimetri per stagione secca entro il 2035. Questo scenario potrebbe portare alla conversione di ampie aree amazzoniche in ecosistemi simili a savane o, nel peggiore dei casi, a regioni semi-aride, compromettendo irrimediabilmente la capacità della foresta di autoregolarsi e influenzando negativamente i sistemi climatici globali.
Questo studio rafforza la comprensione del ruolo critico dell'Amazzonia per la stabilità climatica mondiale. La preservazione di questo prezioso ecosistema non è più solo una questione ambientale regionale, ma una necessità impellente per il benessere del nostro pianeta. Ogni albero abbattuto porta con sé una parte della capacità terrestre di mantenere un equilibrio climatico, e le conseguenze si riverberano ben oltre i confini della foresta. È un monito chiaro: le nostre azioni locali hanno ripercussioni globali, e la salvaguardia delle foreste pluviali è una strategia non negoziabile per un futuro sostenibile.
Per la prima volta nel panorama italiano, due entità autonome operanti nella gestione degli imballaggi hanno siglato una partnership strategica. L'obiettivo è fornire alle aziende del comparto delle bevande un servizio integrato di recupero, riutilizzo e riciclo che va oltre le comuni bottiglie in PET, estendendosi al film plastico impiegato per avvolgere i fardelli e coprire i pallet durante il trasporto. Questa sinergia rappresenta un passo significativo verso una gestione più olistica e sostenibile dei rifiuti plastici.
L'intesa sperimentale prevede che Coripet, il consorzio riconosciuto per la gestione e il riciclo del polietilene tereftalato (PET) destinato ai liquidi alimentari, indirizzi le proprie imprese consorziate verso l'impiego del film riciclato fornito da P.A.R.I. P.A.R.I., un sistema volontario specializzato nel recupero del film flessibile in polietilene a bassa densità (LDPE), si impegna a fornire film con una percentuale minima del 50% di plastica riciclata post-consumo, con la possibilità di raggiungere il 90%, garantendo il riciclo di almeno il 60% degli imballaggi immessi sul mercato. Questo processo innovativo chiude il cerchio per un riciclo più efficiente e completo.
Questa collaborazione è un risultato diretto della volontà di dare nuova linfa al principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), un concetto introdotto a livello europeo e recepito dalla legislazione italiana. L'EPR attribuisce alle aziende la facoltà e l'onere di gestire autonomamente la fase finale del ciclo di vita degli imballaggi che immettono sul mercato, anche tramite soluzioni alternative rispetto ai consorzi di filiera tradizionali. L'accordo tra Coripet e P.A.R.I. incarna perfettamente questo principio, offrendo un esempio concreto di gestione autonoma e responsabile.
La fase sperimentale consentirà di integrare la consolidata filiera 'bottle-to-bottle' di Coripet, che già garantisce l'utilizzo del 25% di PET riciclato (Rpet) nelle bottiglie dei propri associati, con le capacità di P.A.R.I. Questa sinergia valorizzerà anche il film utilizzato per i fardelli e le coperture dei pallet, creando un sistema completo per la gestione dell'intero processo di confezionamento in plastica, dal primario al terziario. Nel 2024, Coripet ha già raccolto oltre 165.000 tonnellate di bottiglie PET, rappresentando più della metà del consumo nazionale, dimostrando l'efficacia del loro operato.
Michele Petrone, responsabile di P.A.R.I. e amministratore delegato di Aliplast (società del Gruppo Hera), ha sottolineato come l'accordo con Coripet permetta di estendere i principi dell'economia circolare anche agli imballaggi secondari e terziari, promuovendo l'integrazione verticale della filiera e la rigenerazione potenzialmente infinita di bottiglie e film. Corrado Dentis, presidente di Coripet, ha evidenziato che questa iniziativa rappresenta un passo concreto verso le direttive europee, dalle normative sulla plastica monouso (SUP) al nuovo Regolamento sugli imballaggi (PPWR) approvato a gennaio, ribadendo l'impegno del consorzio nel promuovere soluzioni operative scalabili e conformi agli obiettivi comunitari di riciclo e sostenibilità.
La fase sperimentale di questa collaborazione, valida fino al 31 dicembre 2028, prevede un'attenta supervisione delle performance ambientali, tecniche e industriali. L'obiettivo primario di questo monitoraggio continuo è duplice: da un lato, valutare la possibilità di rinnovare e consolidare l'accordo tra Coripet e P.A.R.I.; dall'altro, identificare e definire un modello operativo che possa essere replicato con successo in altri settori produttivi, ampliando così l'impatto positivo dell'economia circolare su scala più ampia.