Nel cuore della Val Brembana, la piccola e suggestiva frazione di Tagliata, parte del comune di Costa Serina, ha vissuto una trasformazione straordinaria. Con una popolazione di soli due abitanti permanenti, questo borgo ha catturato l'attenzione generale grazie a un'innovativa installazione artistica. Ben tremila libri sono stati sapientemente disposti lungo la sua arteria principale, lunga quarantacinque metri, convertendola in un vero e proprio santuario della letteratura a cielo aperto. Questo evento non è stato solo una dimostrazione creativa, ma un potente messaggio sul potere della lettura e della conoscenza condivisa.
L'ambizioso progetto, intitolato “Una strada di libri”, è nato dall'ingegno del giornalista Giovanni Cortinovis, già promotore della biblioteca estiva di Tagliata, un'iniziativa che ha riscosso grande successo tra i villeggianti e gli appassionati di lettura sin dalla sua inaugurazione nel 2024. I volumi utilizzati per l'installazione provengono direttamente da questa collezione, creando una connessione diretta tra il luogo e la sua nuova identità culturale. La disposizione dei libri è stata studiata per guidare i visitatori lungo un percorso metaforico, dove ogni passo simboleggia un'esplorazione tra storie e conoscenze. Questo allestimento è stato un omaggio vivente al concetto che la lettura è un viaggio continuo, un percorso di scoperta e crescita personale che arricchisce l'individuo a ogni pagina sfogliata. Il significato intrinseco dell'opera risiede nel messaggio che il sapere non è statico, ma dinamico e in evoluzione, proprio come un sentiero da percorrere.
L'idea alla base di questa installazione è semplice ma profondamente evocativa: la lettura è un processo che spinge al progresso, alla scoperta e al cambiamento. Anche se la via non era transitabile fisicamente durante l'evento, il messaggio di fondo è risuonato forte e chiaro: la conoscenza si costruisce passo dopo passo, immersi nelle parole e nelle idee. Questa rappresentazione tangibile del percorso conoscitivo ha offerto ai visitatori un'esperienza unica e memorabile. L'iniziativa ha dimostrato come anche un piccolo insediamento possa diventare un centro di riferimento culturale, promuovendo la passione per i libri e la condivisione della cultura. La trasformazione della via principale in una biblioteca all'aperto ha rafforzato l'idea che il sapere è accessibile a tutti e che può fiorire anche nei luoghi più inattesi, creando un ponte tra il passato, il presente e il futuro attraverso le pagine dei libri.
Al termine dell'evento, i numerosi partecipanti hanno avuto l'opportunità di scegliere due libri da portare con sé, un gesto simbolico per perpetuare l'esperienza e mantenerne viva la memoria. Questo ha rappresentato non solo un ricordo tangibile, ma anche un invito a riscoprire il valore del tempo scandito, del silenzio meditativo e della condivisione intellettuale. I coniugi Luisa e Lorenzo Cortinovis, gli unici abitanti permanenti di Tagliata, hanno espresso la loro profonda commozione e felicità per l'iniziativa, che ha infuso nuova vita e ha portato un'onda di cultura nel loro tranquillo angolo di mondo, mostrando come anche la più piccola comunità possa generare un impatto significativo.
Grazie a questa straordinaria installazione e alla presenza della biblioteca estiva, Tagliata si sta rapidamente affermando come una destinazione imperdibile per i bibliofili e per chiunque sia curioso di esplorare progetti culturali innovativi. La visibilità del borgo è stata amplificata ulteriormente dalla creazione del gruppo Facebook \"Il favoloso mondo di Tagliata\", che ha contribuito a diffondere la sua storia e a creare una comunità online di sostenitori. Questo caso esemplare dimostra con forza come anche un luogo di dimensioni contenute possa dare vita a grandi iniziative culturali, capaci di connettere epoche diverse e di unire le persone attraverso il filo conduttore della lettura. È un'ulteriore conferma che la cultura e l'innovazione possono prosperare in ogni contesto, trasformando piccoli luoghi in centri di ispirazione e crescita collettiva.
Un eccezionale ritrovamento ha scosso la tranquilla routine di un pittore incaricato dei lavori di manutenzione su un antico faro in Tasmania. Nel corso delle operazioni di restauro, è emersa una bottiglia contenente un manoscritto di oltre un secolo fa. Questo reperto, celato per decenni all'interno della struttura, offre una prospettiva affascinante sulle tecniche e sulle vite di coloro che si dedicavano alla cura dei fari in epoche passate. La scoperta ha immediatamente catturato l'attenzione di esperti e storici, desiderosi di svelare i segreti racchiusi in questa capsula del tempo. Il documento non è solo un resoconto tecnico, ma anche una testimonianza umana di un periodo lontano, fornendo dettagli preziosi sulle persone e sui costi di quei lavori.
La singolare vicenda ha avuto luogo presso il faro di Cape Bruny, situato lungo la pittoresca costa sud-orientale della Tasmania. Brian Burford, un esperto pittore specializzato, era intento a rimuovere la ruggine da una parete interna della lanterna quando la sua attenzione è stata attratta da un riflesso insolito. Avvicinandosi, ha notato una bottiglia di vetro, meticolosamente sigillata e abilmente nascosta nella muratura. All'interno di questa insolita 'capsula del tempo', ha trovato una busta con due fogli di carta piegati con cura. Il documento, redatto a mano, recava la data del 29 gennaio 1903, identificando l'autore come J.R. Meech, che all'epoca ricopriva la carica di ispettore dei fari per l'Hobart Marine Board, l'ente responsabile della gestione dei fari in Tasmania.
Il contenuto della lettera di Meech si è rivelato un resoconto minuzioso dei lavori di ammodernamento eseguiti sul faro in quell'anno. L'ispettore descriveva l'installazione di una nuova scala, il rifacimento del pavimento, la sostituzione completa della lanterna e l'introduzione di una lente più moderna. Oltre ai dettagli tecnici, Meech annotava anche i costi sostenuti e i nomi delle persone coinvolte in queste opere, offrendo una rara panoramica sulla dimensione economica e umana di tali progetti all'inizio del Novecento. È plausibile che Meech abbia volontariamente lasciato questa testimonianza per le generazioni future, un gesto che, dopo più di un secolo, ha finalmente rivelato il suo significato.
La notizia del ritrovamento ha rapidamente raggiunto gli specialisti del Tasmania Parks and Wildlife Service. Annita Waghorn, responsabile del patrimonio storico, ha espresso il suo stupore: i pittori li hanno contattati annunciando la scoperta della bottiglia nel muro del faro, e la loro reazione iniziale è stata di incredulità. Questa parte della struttura non era stata accessibile dal 1903, l'anno in cui fu installata l'attuale lanterna, il che significa che il piccolo spazio e il suo prezioso contenuto erano rimasti sigillati per oltre un secolo, protetti dal tempo e dagli eventi esterni.
Per garantire l'integrità del documento, l'operazione di recupero ha richiesto un'estrema delicatezza. L'apertura della bottiglia e l'estrazione del contenuto sono state affidate ai conservatori del Tasmanian Museum and Art Gallery. Cobus van Breda, un esperto nel restauro della carta, ha spiegato la complessità del compito: il tappo della bottiglia era sigillato con bitume, un materiale simile al catrame, che ha richiesto una rimozione estremamente precisa per evitare di danneggiare il vetro. Inoltre, la lettera era piegata in modo così serrato che l'estrazione senza strappi ha richiesto giorni di pazienza e meticolosa attenzione. Solo dopo questa delicata procedura è stato possibile leggere l'intero contenuto del manoscritto.
J.R. Meech non era un semplice tecnico; la sua posizione lo vedeva direttamente coinvolto nella gestione di alcuni dei fari più isolati e difficilmente raggiungibili della Tasmania, tra cui quelli di Maatsuyker Island, Tasman Island, Cape Sorell, Table Cape e Mersey Bluff. La sua lettera è molto più di un semplice rapporto tecnico: è una vivida testimonianza delle condizioni di vita e di lavoro nei fari di oltre un secolo fa. La grafia, i dettagli meticolosi e i nomi menzionati contribuiscono a ricreare un frammento tangibile della storia marittima australiana. Attualmente, il prezioso documento è custodito in un ambiente sicuro e controllato. Il museo sta valutando attentamente le migliori modalità per esporlo al pubblico, garantendo al contempo la sua conservazione a lungo termine, in modo che la sua storia possa essere condivisa e apprezzata da tutti.
Con la scomparsa di Gianni Berengo Gardin, avvenuta a Genova all'età di 94 anni, l'Italia perde uno dei suoi più illustri interpreti visivi del XX secolo. La sua opera fotografica, intesa come un'intensa narrazione sociale e civile piuttosto che come mera espressione artistica, ha saputo cogliere l'essenza della quotidianità e le trasformazioni di una nazione. Attraverso le sue immagini, spesso in bianco e nero, Berengo Gardin ha rivelato volti e luoghi, documentando con discrezione e profonda umanità le vicende che hanno segnato l'Italia, dalle problematiche condizioni dei manicomi fino all'impatto delle grandi imbarcazioni su Venezia, città a cui era profondamente legato e dove mosse i primi passi nel mondo della fotografia.
Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, Gianni Berengo Gardin considerava Venezia la sua vera culla artistica. Ed è proprio nella Serenissima che, nel 2015, con il sostegno del FAI, presentò un reportage di denuncia sull'inquietante passaggio delle imponenti navi da crociera. Questa esposizione, intitolata 'Mostri a Venezia', sollevò notevoli controversie con l'amministrazione locale, che ne ritardò l'apertura. Le 27 fotografie, scattate tra il 2012 e il 2014 e tutte in bianco e nero, catturavano la grandezza sproporzionata di queste navi nel Canale della Giudecca, simboli di un inquinamento visivo e ambientale che minacciava le fragili fondamenta della città lagunare.
Berengo Gardin, che iniziò la sua carriera nel 1954 collaborando con 'Il Mondo' di Mario Pannunzio, ha dedicato la sua vita alla fotografia documentaristica. Dal 1966 al 1983, ha lavorato per il Touring Club Italiano, realizzando volumi sull'Italia e l'Europa, e ha collaborato con numerose aziende italiane di spicco. La sua lente ha immortalato per decenni i progetti architettonici di Renzo Piano. Le sue opere hanno varcato i confini nazionali, essendo esposte in eventi di risonanza internazionale come la Photokina di Colonia, l'Expo di Montreal del 1967, l'Expo di Milano 2015, la Biennale di Venezia e la mostra 'The Italian Metamorphosis, 1943-1968' al Guggenheim Museum di New York nel 1994. Numerosi i riconoscimenti ottenuti, tra cui il Prix Brassaï nel 1990, il Leica Oskar Barnack Award nel 1995, il Lucie Award alla carriera nel 2008, il Premio Kapuściński nel 2014 e il Leica Hall of Fame Award nel 2017. Le sue fotografie sono oggi parte integrante delle collezioni di musei prestigiosi a livello mondiale. Attualmente, fino al 28 settembre, la Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia ospita 'Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi', un'esposizione di 21 scatti inediti del 1993 che documentano lo studio del pittore emiliano, testimoniando la sua incessante ricerca e il suo profondo legame con la realtà.
La visione di Gianni Berengo Gardin ci ricorda l'importanza del fotografo non solo come artista, ma come custode della memoria e testimone della società. La sua capacità di trasformare l'obiettivo in uno strumento di denuncia e riflessione offre uno stimolo profondo sulla responsabilità dell'arte e dei media nel rappresentare le sfide del nostro tempo. Venezia, attraverso i suoi occhi, diventa un monito universale sulla fragilità del patrimonio culturale di fronte agli impatti di un progresso non sempre sostenibile. La sua opera continua a ispirare e a far riflettere sull'impronta umana nel mondo e sulla necessità di un impegno civile costante.