Un eccezionale ritrovamento ha scosso la tranquilla routine di un pittore incaricato dei lavori di manutenzione su un antico faro in Tasmania. Nel corso delle operazioni di restauro, è emersa una bottiglia contenente un manoscritto di oltre un secolo fa. Questo reperto, celato per decenni all'interno della struttura, offre una prospettiva affascinante sulle tecniche e sulle vite di coloro che si dedicavano alla cura dei fari in epoche passate. La scoperta ha immediatamente catturato l'attenzione di esperti e storici, desiderosi di svelare i segreti racchiusi in questa capsula del tempo. Il documento non è solo un resoconto tecnico, ma anche una testimonianza umana di un periodo lontano, fornendo dettagli preziosi sulle persone e sui costi di quei lavori.
La singolare vicenda ha avuto luogo presso il faro di Cape Bruny, situato lungo la pittoresca costa sud-orientale della Tasmania. Brian Burford, un esperto pittore specializzato, era intento a rimuovere la ruggine da una parete interna della lanterna quando la sua attenzione è stata attratta da un riflesso insolito. Avvicinandosi, ha notato una bottiglia di vetro, meticolosamente sigillata e abilmente nascosta nella muratura. All'interno di questa insolita 'capsula del tempo', ha trovato una busta con due fogli di carta piegati con cura. Il documento, redatto a mano, recava la data del 29 gennaio 1903, identificando l'autore come J.R. Meech, che all'epoca ricopriva la carica di ispettore dei fari per l'Hobart Marine Board, l'ente responsabile della gestione dei fari in Tasmania.
Il contenuto della lettera di Meech si è rivelato un resoconto minuzioso dei lavori di ammodernamento eseguiti sul faro in quell'anno. L'ispettore descriveva l'installazione di una nuova scala, il rifacimento del pavimento, la sostituzione completa della lanterna e l'introduzione di una lente più moderna. Oltre ai dettagli tecnici, Meech annotava anche i costi sostenuti e i nomi delle persone coinvolte in queste opere, offrendo una rara panoramica sulla dimensione economica e umana di tali progetti all'inizio del Novecento. È plausibile che Meech abbia volontariamente lasciato questa testimonianza per le generazioni future, un gesto che, dopo più di un secolo, ha finalmente rivelato il suo significato.
La notizia del ritrovamento ha rapidamente raggiunto gli specialisti del Tasmania Parks and Wildlife Service. Annita Waghorn, responsabile del patrimonio storico, ha espresso il suo stupore: i pittori li hanno contattati annunciando la scoperta della bottiglia nel muro del faro, e la loro reazione iniziale è stata di incredulità. Questa parte della struttura non era stata accessibile dal 1903, l'anno in cui fu installata l'attuale lanterna, il che significa che il piccolo spazio e il suo prezioso contenuto erano rimasti sigillati per oltre un secolo, protetti dal tempo e dagli eventi esterni.
Per garantire l'integrità del documento, l'operazione di recupero ha richiesto un'estrema delicatezza. L'apertura della bottiglia e l'estrazione del contenuto sono state affidate ai conservatori del Tasmanian Museum and Art Gallery. Cobus van Breda, un esperto nel restauro della carta, ha spiegato la complessità del compito: il tappo della bottiglia era sigillato con bitume, un materiale simile al catrame, che ha richiesto una rimozione estremamente precisa per evitare di danneggiare il vetro. Inoltre, la lettera era piegata in modo così serrato che l'estrazione senza strappi ha richiesto giorni di pazienza e meticolosa attenzione. Solo dopo questa delicata procedura è stato possibile leggere l'intero contenuto del manoscritto.
J.R. Meech non era un semplice tecnico; la sua posizione lo vedeva direttamente coinvolto nella gestione di alcuni dei fari più isolati e difficilmente raggiungibili della Tasmania, tra cui quelli di Maatsuyker Island, Tasman Island, Cape Sorell, Table Cape e Mersey Bluff. La sua lettera è molto più di un semplice rapporto tecnico: è una vivida testimonianza delle condizioni di vita e di lavoro nei fari di oltre un secolo fa. La grafia, i dettagli meticolosi e i nomi menzionati contribuiscono a ricreare un frammento tangibile della storia marittima australiana. Attualmente, il prezioso documento è custodito in un ambiente sicuro e controllato. Il museo sta valutando attentamente le migliori modalità per esporlo al pubblico, garantendo al contempo la sua conservazione a lungo termine, in modo che la sua storia possa essere condivisa e apprezzata da tutti.
Con la scomparsa di Gianni Berengo Gardin, avvenuta a Genova all'età di 94 anni, l'Italia perde uno dei suoi più illustri interpreti visivi del XX secolo. La sua opera fotografica, intesa come un'intensa narrazione sociale e civile piuttosto che come mera espressione artistica, ha saputo cogliere l'essenza della quotidianità e le trasformazioni di una nazione. Attraverso le sue immagini, spesso in bianco e nero, Berengo Gardin ha rivelato volti e luoghi, documentando con discrezione e profonda umanità le vicende che hanno segnato l'Italia, dalle problematiche condizioni dei manicomi fino all'impatto delle grandi imbarcazioni su Venezia, città a cui era profondamente legato e dove mosse i primi passi nel mondo della fotografia.
Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, Gianni Berengo Gardin considerava Venezia la sua vera culla artistica. Ed è proprio nella Serenissima che, nel 2015, con il sostegno del FAI, presentò un reportage di denuncia sull'inquietante passaggio delle imponenti navi da crociera. Questa esposizione, intitolata 'Mostri a Venezia', sollevò notevoli controversie con l'amministrazione locale, che ne ritardò l'apertura. Le 27 fotografie, scattate tra il 2012 e il 2014 e tutte in bianco e nero, catturavano la grandezza sproporzionata di queste navi nel Canale della Giudecca, simboli di un inquinamento visivo e ambientale che minacciava le fragili fondamenta della città lagunare.
Berengo Gardin, che iniziò la sua carriera nel 1954 collaborando con 'Il Mondo' di Mario Pannunzio, ha dedicato la sua vita alla fotografia documentaristica. Dal 1966 al 1983, ha lavorato per il Touring Club Italiano, realizzando volumi sull'Italia e l'Europa, e ha collaborato con numerose aziende italiane di spicco. La sua lente ha immortalato per decenni i progetti architettonici di Renzo Piano. Le sue opere hanno varcato i confini nazionali, essendo esposte in eventi di risonanza internazionale come la Photokina di Colonia, l'Expo di Montreal del 1967, l'Expo di Milano 2015, la Biennale di Venezia e la mostra 'The Italian Metamorphosis, 1943-1968' al Guggenheim Museum di New York nel 1994. Numerosi i riconoscimenti ottenuti, tra cui il Prix Brassaï nel 1990, il Leica Oskar Barnack Award nel 1995, il Lucie Award alla carriera nel 2008, il Premio Kapuściński nel 2014 e il Leica Hall of Fame Award nel 2017. Le sue fotografie sono oggi parte integrante delle collezioni di musei prestigiosi a livello mondiale. Attualmente, fino al 28 settembre, la Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia ospita 'Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi', un'esposizione di 21 scatti inediti del 1993 che documentano lo studio del pittore emiliano, testimoniando la sua incessante ricerca e il suo profondo legame con la realtà.
La visione di Gianni Berengo Gardin ci ricorda l'importanza del fotografo non solo come artista, ma come custode della memoria e testimone della società. La sua capacità di trasformare l'obiettivo in uno strumento di denuncia e riflessione offre uno stimolo profondo sulla responsabilità dell'arte e dei media nel rappresentare le sfide del nostro tempo. Venezia, attraverso i suoi occhi, diventa un monito universale sulla fragilità del patrimonio culturale di fronte agli impatti di un progresso non sempre sostenibile. La sua opera continua a ispirare e a far riflettere sull'impronta umana nel mondo e sulla necessità di un impegno civile costante.
Il dibattito eterno tra gli amanti del gelato, ovvero se sia più vantaggioso optare per un cono croccante o una comoda coppetta, ha finalmente trovato una risposta autorevole. Una professionista del settore gelatiero, con la sua esperienza pluriennale, ha gettato luce su questa questione, rivelando che, al di là delle preferenze personali e delle diverse modalità di consumo, esistono sottili differenze quantitative e qualitative tra le due opzioni. La sua analisi approfondita ha messo in evidenza come la scelta possa influenzare non solo la quantità di prodotto ricevuto ma anche l'intera esperienza di degustazione, ponendo fine a un dilemma che affligge molti golosi durante la stagione calda.
La rivelazione proviene direttamente da una gelataia con sede a Torino, che, tramite una pubblicazione virale su TikTok, ha condiviso le sue osservazioni professionali. Secondo la sua spiegazione, quando si ordina un gelato con due gusti in un cono, spesso si beneficia di un'aggiunta extra, una sorta di "ricciolo" superiore che, nella maggior parte dei casi, non viene replicato nella coppetta. Questo dettaglio, apparentemente minore, può tradursi in una quantità leggermente maggiore di gelato a parità di prezzo, rendendo il cono l'opzione potenzialmente più generosa. Inoltre, il cono offre il vantaggio aggiuntivo di essere completamente commestibile, eliminando la necessità di smaltire un contenitore separato e offrendo un'esperienza di consumo senza sprechi.
Tuttavia, l'esperta ha anche sottolineato che il consumo del cono non è esente da svantaggi. Specialmente in giornate particolarmente calde, il gelato nel cono tende a sciogliersi più rapidamente, richiedendo un consumo celere per evitare gocciolamenti e disordini. Questa pressione temporale potrebbe non essere gradita a tutti, soprattutto a coloro che preferiscono assaporare il loro gelato con calma e senza fretta. D'altra parte, la coppetta emerge come la soluzione ideale per chi cerca una degustazione più rilassata e pulita. Nonostante possa contenere una quantità leggermente inferiore di gelato, data la precisione nel dosaggio, offre una maggiore igiene e riduce significativamente il rischio di macchie, rendendola particolarmente adatta per i bambini o per chiunque desideri evitare spiacevoli incidenti.
In definitiva, la differenza di volume tra le due opzioni non è così marcata da giustificare una scelta basata unicamente sulla quantità. Come saggiamente concluso dalla gelataia, la decisione più conveniente è quella che massimizza il piacere personale e l'esperienza gustativa. Che si tratti della croccantezza del cono o della praticità della coppetta, l'importante è godere appieno del momento dedicato a questo delizioso piacere estivo. E per i più indecisi, la soluzione è sempre a portata di mano: perché non concedersi entrambe le varianti in momenti diversi?